Lectio
divina su Lc 2,22-40
O Dio, nostro creatore e padre, tu hai voluto che il tuo Figlio, generato prima dell’aurora del mondo, divenisse membro dell’umana famiglia; ravviva in noi la venerazione per il dono e il mistero della vita, perché i genitori si sentano partecipi della fecondità del tuo amore, gli anziani donino ai piccoli la loro saggezza matura, e i figli crescano in sapienza, pietà e grazia, rendendo lode al tuo santo nome. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Siamo nella sezione del Vangelo dell'infanzia. L'evangelista Luca ci presenta la vita di Gesù all'interno delle pratiche religiose giudaiche (cfr. Lv 12,6-8).
La Lectio riflette sulla presentazione al Tempio di Gesù. Dopo gli eventi del Natale, segue la circoncisione del bambino nell’ottavo giorno nella coreografia della presentazione al Tempio, al quarantesimo giorno dalla nascita. Ma a Luca non interessa tutto il rito della purificazione o altri riti, tanto è vero che non li descrive.
Il brano evangelico completo presenta tre momenti: la circoncisione (v. 21; nel nostro brano non è incluso), la presentazione al tempio (vv. 22-38) e il ritorno a Nazareth (vv. 39-40).
Il protagonista nella pericope evangelica è lo Spirito Santo, riferito per tre volte. In tutto il vangelo lucano si riflette sull’azione dello Spirito Santo: la potenza dello Spirito adombra Maria (Lc 1,35), fa sussultare Elisabetta (Lc 1,41), conferma Gesù nel Battesimo al Giordano (Lc 3,22), lo conduce nel deserto (Lc 4,1). Lo stesso Spirito consacra il Figlio per l’evangelizzazione (Lc 4,14), dalla prima uscita pubblica a Nazareth (Lc 4,18), lo fa esultare e benedire il Padre (Lc 10,21), che lo dona a coloro lo pregano (Lc 11,13).
Il ritorno a Nazaret avviene dopo che ebbero adempiuto ogni cosa secondo la Legge del Signore. Il brano si chiude a mo’ di ritornello (v. 40) mettendo in evidenza la grazia di Dio sul Bambino.
La liturgia odierna ci invita, mossi dallo Spirito Santo, di andare "incontro al Cristo nella casa di Dio, dove lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane, nell’attesa che egli venga e si manifesti nella sua gloria".
vv. 22-24: Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore
Luca scrive che i tempi si sono compiuti. Abitualmente nel nostro parlare diciamo che i tempi sono finiti. La differenza è che qui entra il tempo di Dio, la sua pienezza che riempie tutto (cfr. Gal 4,4-5), si realizzano le sue promesse.
In questa pienezza, la famiglia di Gesù si sottopone alla Legge in tutte le sue prescrizioni. Infatti il termine "Legge" apre e chiude la narrazione (vv. 22.39). La Legge consisteva anzitutto nella circoncisione del primogenito, che prevedeva il rito del "riscatto" del bambino e dell’imposizione del nome (cfr. Gen 17,9-14; Gs 5,2-8).
Secondo Es 13,1 ogni primogenito doveva essere consacrato a Dio, in ricordo della liberazione dell’Egitto e dell’ultima piaga. Un significato da spiegare alle future generazioni (Es 13,14-16): Successivamente venne scelta la tribù di Levi per il servizio al santuario in sostituzione dei primogeniti (cfr. Nm 8,15-19).
Nel gesto che fa la santa famiglia, ci sta una motivazione profonda. Non un fatto puramente rituale, tanto è vero che all'Evangelista questo non interessa. Si tratta invece di praticare quelle osservanze che ci consentono di essere quello che Dio vuole che siamo. E, nello stesso tempo, di diventare luce di esempio buono, correndo sulla via di quello che, con la sua legge, Dio ci offre per la nostra salvezza.
e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
L’offerta (paristanai: presentare, offrire) del primogenito a Dio prevedeva un oblazione. Per le famiglie benestanti questa oblazione imponeva il sacrificio di un animale grosso, mentre in caso di famiglie povere, l’offerta poteva consistere in colombi o tortore (cfr. Lv 12,1-8).
L'evangelista qui ci ricorda che Maria e Giuseppe offrirono il sacrificio dei poveri e che tutta la sua famiglia, con questo gesto, viene annoverata tra i poveri di Israele.
Gesù un giorno riprenderà questo discorso e si scaglierà contro l'attività commerciale al tempio, ribadendone la santità (cfr. Gv 2,14-16). La motivazione di quest'atteggiamento consiste che non è più l’offerta di olocausti e sacrifici a caratterizzare la relazione tra Dio e l’uomo, ma la nuova offerta è il Figlio, donato una volta per sempre per la salvezza dell’umanità.
In questi versetti troviamo la chiave di lettura del racconto teologico di Luca. Esso va letto alla luce della pasqua. Sarà l'evento pasquale ad illuminare l'episodio dell'infanzia in cui si tratta di offerta, sacrificio, riscatto, purificazione. Ma tutto questo tornerà chiaro dopo la Pasqua.
v. 25: Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui.
Simeone viene presentato, in un contesto profetico, con tre qualità: giusto, pio, paziente (("aspettava la consolazione d'Israele"). In questa descrizione abbiamo una intima apertura a Dio. Del resto l’etimologia popolare di Simeone, presa da Gn 29,33 significa “YHWH ha udito”.
Simeone è l’uomo in un continuo atteggiamento di ascolto della Torah, lasciandosi adombrare dallo Spirito.
Luca annota che Simeone aspettava la consolazione. Il testo greco riporta "paraklesis", una parola che riscontriamo facilmente in san Giovanni in riferimento allo Spirito Santo.
Simeone è un uomo capace di sperare ed attendere. L’evangelista Luca, con questo personaggio, descrive la realtà dominante nel giudaismo del tempo dì Gesù: l’attesa messianica, la speranza della venuta di un redentore, dell’unto di YHWH.
Luca, è l’evangelista dello Spirito Santo, nel suo Vangelo è l’attore principale. Lo Spirito Santo scende su Simeone che lo rende capace di accoglienza. Il suo essere aspettante (prosdechómenos) era guidato e confortato dallo Spirito Santo. Lo stesso l’ha condotto a vedere il Cristo del Signore prima della sua morte (v. 26).
vv. 27-28: Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch'egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio
È sempre lo Spirito Santo che mette in movimento, che conduce verso il Salvatore. Simeone si reca al tempio per accogliere tra le sue braccia Gesù, il Messia atteso.
L’anziano di Israele accoglie il mistero del Dio incarnato, esprimendo tutta la gioia di questo incontro "Le braccia di Simeone sono le braccia secche e bimillenarie di Israele che riceve il fiore della vita" (S. Fausti).
Simeone pronuncia la sua Berakah, termine ebraico (dalla radice verbale brk) normalmente tradotto con benedizione, ringraziamento o eucarestia. Usatissimo nell’AT, viene tradotto dai LXX con eulogia (circa 640 volte) e, più raramente con eucaristia.
Esistono due figure di berakah: la berakah discendente e la berakah ascendente. Nel brano non viene riportata la benedizione tradizionale: "Benedetto Tu, Signore..." ma solo la preghiera personale dell'anziano.
vv. 29-32: (dicendo:) Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola
Grazie all’azione dello Spirito Santo, Simeone ha realizzato l’incontro della sua vita. Il suo atteggiamento dinanzi a Dio è di servo, schiavo.
L’inizio di questa preghiera dà l’idea di un imperativo che di un indicativo: “nŷn apolýeis, tòn doûlón sou, déspota”: “adesso congedi (dimetti) il tuo servo”. Infatti, Simeone vive la totale dipendenza dal Signore del mondo al quale Simeone è stato fedele durante tutta la sua esistenza nutrito dalla Parola.
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele.
Ora egli non dovrà più attendere: i suoi occhi hanno visto la salvezza (sōtēria), la luce (phōs) e la gloria (doxa) nella estrema debolezza di un bambino! Soltanto colui che ha saputo attendere la pace messianica, nella fede, ora può esultare nella lode!
In questo versetto, attraverso Simeone, si intravede il popolo della Promessa che vede compiute le sue attese, e quindi terminata la sua funzione preparatoria nella storia della salvezza. Simeone certamente desideroso di vedere compiuta la promessa messianica realizzata, accoglie la sua apolýeis pur sapendo che vedrà solo l’Alba di quella Luce per le nazioni e il Segno di quella Gloria del popolo di Dio Israele.
v. 33: Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
Quasi a ritornello ritorna (e ritornerà) la meraviglia (cfr. Lc 1,63; 2,18.33.48). I genitori possono solo intuire il senso di quanto sarà di questa Realtà divina. Essa in genere si conclude in un racconto di miracolo, serve a sottolineare l'importanza rivelatrice del Nunc Dimittis, esprime la reazione dell'uomo dinanzi ad una rivelazione o ad un fatto che appartiene al mistero del piano di Dio e che comunque supera l'attesa umana.
vv. 34-35: Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione
Ritorna il tema della benedizione (cfr. v. 28) che introduce anche la seconda parte delle parole di Simeone, ora rivolte all'indirizzo della famiglia di Nazareth.
Le parole dell’anziano Simeone sono introdotte da un verbo: “keimai” che significa: “giace, è disteso, riposa, è posto, è adagiato, è deposto”, lo stesso verbo che troviamo in Lc 2,12.16 nella mangiatoia di Betlemme. Lo ritroviamo in Lc 23,53 alla deposizione dalla croce, nel momento in cui viene avvolto in un lenzuolo, Giuseppe di Arimatea lo pose in un sepolcro scavato nella roccia. È un verbo che abbraccia Gesù dalla nascita alla sepoltura, dall’esser posto avvolto in fasce in una mangiatoia all’essere posto avvolto in un lenzuolo in un sepolcro.
Il verbo kemai è accompagnato dal “segno di contraddizione” di cui Gesù è definito (sēmēion antilegomenon). È il segno dell’offerta di Dio. Egli mostra il suo Figlio innalzato sulla croce. Sta al cuore di ciascuno accettarlo o meno.
Qui troviamo la definizione più misteriosa e toccante della profezia di Simeone. Gesù sarà il profeta delle genti e "più di un profeta" (cfr. Lc 7,16): egli è il salvatore del mondo! E Maria sarà chiamata a condividere il dono della salvezza "offrendo se stessa" nel dolore.
e anche a te una spada trafiggerà l'anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
Anche Maria è coinvolta in questo segno di contraddizione. Per questo Simeone le rivolge una profezia enigmatica che le concerne direttamente: una spada trafiggerà la sua vita, “poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell'incomprensione e nel dolore” (Giovanni Paolo II, RM, 16).
La proposizione è redazionale e sembra ispirarsi a Ez 14,17s (LXX) che contiene l'idea di una spada che divide, quasi a riprendere quanto in seguito dirà Gesù: "non son venuto a portare la pace ma una spada" (Mt 10,34).
La spada che è venuto a portare Gesù non serve ad uccidere. Nel mondo giudaico l'immagine della spada era adoperata per indicare la Parola di Dio. Paolo riprenderà questo tema. La spada di Gesù è quello della Parola di Dio, viva ed efficace (Eb 4,12). Gesù sarà quella spada che dividerà quanti l'accolgono da coloro che lo rifiutano.
Da questo dolore, dall'incontro con Cristo nascerà la nuova famiglia, che con Gesù allarga il suo orizzonte. Non si concentra nei propri bisogni, ma estende la sua capacità d'amare a tutti, come una benedizione centuplicata (cfr. Gn 26,12).
vv. 36-38: C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Entra in scena un'altra figura profetica: un'anziana donna, descritta come una donna fedele. Il suo nome, Anna, ci richiama allo stesso nome della madre di Samuele. Il suo nome (equivalente maschile Iohannan) significa “Il Signore fece grazia”. È figlia di Fanuele, in ebraico Pnû-‘El = Il volto di Dio, della lontana tribù settentrionale di Aser.
Anna è qualificata col raro titolo di profetessa come Debora (Gdc 4,4) e Culda (2re 22,14). Viene descritta con le stesse caratteristiche di Giuditta: vedova, assidua nei digiuni e nelle preghiere (Gdt 8,4-6), "andò molto avanti negli anni" (Gdt 16,23).
L’evangelista riporta l’età dell’anziana donna: 84 anni. Ora, questo è un numero simbolico, 12x7 (12 il popolo d’Israele e 7 la pienezza) ma è anche il doppio di 42, che indica gli anni dell’attesa nel dolore e nella tribolazione. Anna aveva atteso il doppio degli altri per intensità e speranza; la sua vita era fatta di digiuni e preghiere. Anna è colei che invoca l'intervento di Dio "notte e giorno" (Lc 18,7) pregando sempre senza stancarsi, proprio come sarà la prescrizione del Signore per i suoi discepoli (Mt 17,21).
Anna giunge nel tempio all’apertura del mattino, per assistere al primo sacrificio; nei versetti non riscontriamo che vide il Bambino e se parlò ai Genitori, ma lo fa supporre. Come i pastori di Betlemme (Lc 2,20) prosegue a parlare “di Lui”, del Bambino, facendolo conoscere “a tutti quelli che attendevano la redenzione (lýtrōsis= riscatto, termine che indica la libertà ottenuta dal servo dietro pagamento di un riscatto) in Gerusalemme.
Anche Anna è da annoverarsi tra gli “anawim” i poveri di Jahvè, socialmente insignificante ma preziosa agli occhi di Dio. Ciò le permette di riconoscere il passaggio di Dio nella sua vita, tra la sua gente: gli permette di accogliere Cristo Gesù.
vv. 39-40: Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Si cambia nuovamente scena. L’evangelista conclude il racconto sottolineando come la santa famiglia ha saputo sottomettersi alla legge del Signore, ora è pronta per ritornare all’ordinarietà della vita.
Dopo aver fatto ritorno nella regione della Galilea, Luca annota nel sommario che il bambino cresceva e si fortificava pieno di sapienza (pleroumenon sōphia) e che la grazia di Dio (charis theou) corrisponde all’azione misteriosa dello Spirito Santo. È la profezia del primo adempimento della vita di Gesù che si snoda tra Nazaret - Betlemme - Nazaret, mentre la seconda sarà Nazaret - Gerusalemme - Nazaret (cfr. Lc 2,49).
C’è anche un terzo adempimento che si svolgerà solo a Gerusalemme dove si realizzerà il “kemai”, dove scaturirà la Redenzione, la Consolazione, lo Spirito Santo al mondo intero (cfr. Lc 24,47-49).
Inizia quindi una nuova epifania di Dio nella vita quotidiana quasi a lasciare sospesa la storia che si riaprirà nuovamente, in sapienza fra i dottori del tempio (cfr. Lc 2, 41-52).
Come Simeone sono capace di saper attendere con pazienza ed accogliere con gioia la novità che viene da Dio?
Sull'esempio di Simeone ed Anna, come rileggo l'esperienza del mio cammino di fede?
Anche per me c'è una "spada che trafigge". Riesco a concepirla come una lacerazione di coscienza davanti alle sfide e alle richieste di Gesù? Oppure penso ad un fatto pietistico?
Ogni giorno come genitore sono chiamato a essere responsabile del bene dei figli. È un dovere che ho ben presente?
Come Famiglia ci sentiamo parte della Comunità in cui cerchiamo di "ascoltare-vedere-agire" accogliendoci con fiducia e pazienza reciproca?
La sottomissione per me è un peso?
proclamate fra i popoli le sue opere.
A lui cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie.
gioisca il cuore di chi cerca il Signore.
Cercate il Signore e la sua potenza,
ricercate sempre il suo volto.
i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca,
voi, stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto.
parola data per mille generazioni,
dell’alleanza stabilita con Abramo
e del suo giuramento a Isacco (Sal 104).