Lectio divina su Lc 13,1-9
O Dio, fonte di misericordia e di ogni bene, che hai proposto a rimedio dei peccati il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna, accogli la confessione della nostra miseria perché, oppressi dal peso della colpa, siamo sempre sollevati dalla tua misericordia.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Il capitolo 13 di Luca è situato alla fine di una sezione iniziata con il cap. 12 in cui Gesù si trova davanti a “migliaia” di persone. Tutta la pericope è inserita nel contesto dell’invito di Gesù alla conversione, dove il perdono è offerto da Dio a coloro che aderiscono al Vangelo. In questo brano si fa riferimento alla città santa, a Pilato e al tema della morte. Sembra un anticipo della passione che si compirà a Gerusalemme.
In 12,54-59 Gesù sollecita la folla con parole forti a riconoscere i segni dei tempi. Per capire, abbiamo la parabola del fico sterile che è preceduta da un forte appello alla conversione.
Il verbo “convertirsi” è ripetuto due volte nel testo. L’avvertimento è dato in forma solenne: “Io vi dico” e come condizione indispensabile per sfuggire al giudizio di Dio: “se non vi convertirete, perirete tutti”.
Luca non è anzitutto interessato al contenuto della conversione (quali cose cambiare); preferisce renderci consapevoli che il giudizio di Dio è incombente e generale. I piccoli aggiustamenti non valgono più: occorre un ripensamento globale, un cambiamento che vada alla radice. Questo è il significato del termine “conversione”.
Di fronte alla parola di Gesù la risposta che si richiede è sempre quella: la conversione. I fatti più tragici (esecuzioni politiche da parte di Pilato o morti bianche in città) non debbono indurre ad un giudizio sugli altri, ma sempre e solo alla conversione: “Se non vi convertite rimarrete nella morte” (vv. 3.5).
È questo il tempo della conversione! Dio ha lasciato passare “tre anni (una vita!)” nella speranza di avere la conversione dell’uomo (il fico infruttuoso). Ora siamo entrati nell’anno inaugurato da Gesù: anno di misericordia (4,17-21). In questo “anno di misericordia” viene data una nuova possibilità di salvezza per l’uomo in cui dovremmo rendere conto se abbiamo solo sfruttato il terreno o abbiamo prodotto anche qualcosa.
vv. 1-2: In quello stesso tempo.
si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere.
Mentre sta parlando di queste cose, alcuni uomini presentandosi a Gesù riferiscono un fatto drammatico: il massacro di alcuni Galilei giunti a Gerusalemme per offrire sacrifici durante una festa giudaica, trovatisi coinvolti in un tumulto insurrezionale, una rivolta così frequente, allora Pilato li fa trucidare.
A livello storico sembra che non sia presente questo racconto ma corrisponde al carattere brutale, tirannico di Pilato così come lo descrive Filone di Alessandria.
Questi uomini si aspettano da Gesù almeno due risposte. La prima di ordine politico dove Gesù prenda una posizione antiromana unendosi all’indignazione generale. La seconda risposta è di ordine religioso per chiarire la posizione spirituale di quegli uomini caduti in quella sventura drammatica. L’idea era quella che chi ha subito una sofferenza più grande deve essere stato protagonista di un peccato più grande.
Evidentemente questi “alcuni” sono farisei in quanto la risposta di Gesù è indirizzata contro il loro dogma secondo cui ogni male era la conseguenza diretta del peccato.
Prendendo la parola, Gesù disse loro: Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte?
Gesù affronta altrove la stessa tematica della lettura religiosa tradizionale, a proposito del cieco nato narrato in Gv 9. Egli non intende dare un giudizio sulla causa della morte di quei galilei, ma reagisce contro l’opinione diffusa che identificava malattia e peccato come conseguenza dei peccati commessi. Infatti, nel brano del cieco nato la gente si rivolge a lui accusandolo di essere nato tutto nel peccato. Gesù in questo brano ribadisce la non colpevolezza di quei galilei e afferma invece l’urgenza della conversione.
In questo testo c’è una chiave di lettura per quanto riguarda gli eventi della storia. Vivere da cristiani gli eventi della storia significa viverli in funzione di quell’evento di cui siamo debitori alla storia, cioè la nostra conversione. E la conversione non ci coinvolge solo come singoli, ma ci vede coinvolti come chiesa.
Normalmente, noi ragioniamo così: se Dio li ha castigati, vuol dire che essi erano peccatori. Ma non è questo il modo di interpretare gli eventi. Quegli uomini, afferma Gesù, non erano peggiori degli altri. Il giudizio di Dio non è per alcuni, ma per tutti; non è per gli altri, ma è per noi. Infatti, a Gesù non interessa schivare i pericoli e trovare un accomodamento, Egli intende indicare la via della salvezza.
v. 3: No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo
C'è un'affermazione solenne: «No, io vi dico». Gesù reagisce con compostezza a questa segnalazione e chiarisce che il pericolo sovrasta tutti quanti: egli non vede nemici dappertutto, che sarebbe il sintomo di una malattia, di mania di persecuzione, ma fa un’esortazione: quello è il momento opportuno per convertirsi, aspettare potrebbe voler dire “perdere un'occasione preziosa e rischiare la stessa sorte”.
Gesù fa riferimento a questi due fatti di cronaca per sottolineare l’urgenza della conversione, di questo tornare a Dio con tutto il cuore e con tutta la mente e che non è mai troppo presto prendere questa decisione fondamentale per ottenere la Salvezza.
Ma che cos’è quella conversione che viene richiamata e dobbiamo fare nostra? La conversione nasce quando ci rendiamo conto di essere lontani da Dio e quando il nostro cammino incomincia a ritornare verso di Lui, a cercare di nuovo il rapporto con il Signore. Parlando di conversione D. Bonhoeffer diceva: "Il contrario della fede non è l'incredulità; è l'idolatria". Già san Paolo parlava della conversione dei pagani come un «allontanarsi dagli idoli per servire il Dio vivo e vero» (1Ts 1,9). Questo ci dà la percezione che abbiamo bisogno di convertirci, che non possiamo sentirci a posto e tranquilli. Per questo dobbiamo riprendere con pazienza e perseveranza il cammino di ritorno a Dio.
v. 6: Diceva anche questa parabola
Per capire il pressante invito, Luca, evangelista del perdono e della misericordia, da questo versetto, inserisce la parabola del fico infruttuoso, che ha lo scopo di precisare la minaccia del giudizio imminente e il conseguente appello al cambiamento. Luca, nella sezione del viaggio a Gerusalemme, accosta spesso le affermazioni di Gesù al racconto di una parabola. L'immagine del fico, e più in genere dell'albero, è usuale nella Bibbia, spesso indica Israele. Lo ritroviamo nell'episodio del fico maledetto (Mc 11,12-14.20-25). L'albero che non dà frutto si trova anche nella predicazione di Giovanni Battista (Lc 3,9).
Di solito in Palestina nelle vigne sono anche piantati altri alberi da frutto che fungono da sostegno ai tralci che vi si avviticchiano.
Gesù fa riferimento a un’immagine già molte volte utilizzata nell’AT per indicare il popolo di Dio (Ger 8,13; Os 9,10; Mi 7,1). Infatti, il fico e la vigna rappresentano nella Scrittura e nella tradizione rabbinica e profetica il popolo di Israele che è la vigna scelta (cf. Is 5), piantata e curata da Javhè nonostante la sua infedeltà.
Ed ora è Gesù, il Figlio di Dio che viene a visitare questa vigna e a mangiarne il frutto ma i vignaioli stanno per metterlo a morte.
La parabola però non mira a parlare della vigna ma soprattutto del fico, anch’esso simbolo di Israele. Esso produce frutti deliziosi ed è simbolo di dolcezza, prosperità, pace.
Con questa immagine del fico, Gesù chiede la fede perseverante, la fede viva, quella che non si lascia scoraggiare dalle tribolazioni e dalle persecuzioni. Perché «chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato» (Mt 24,13). Per tutti rimane quella domanda un po’ retorica di Gesù: «Il figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Quindi qui l'allusione a Israele è chiara: il popolo è come l’albero di fico che non dà frutti.
Facendo l’applicazione alla nostra comunità Cristiana, la vigna è la Chiesa mentre il fico è ogni battezzato, ogni discepolo: è lui che deve produrre frutti graditi a Dio.
vv. 7-9: Allora disse al vignaiolo: Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?
Ogni buon contadino sa bene che un vitigno comincia a dare frutto dopo tre anni dacché è stato piantato.
Questi versetti, ci presentano la sterilità del fico. Qui possiamo leggere la nostra storia alla luce di quella di Gesù. La parabola è trasparente. Il Padre e il Figlio si prendono cura dell'uomo e si attendono che egli risponda al loro amore. Ma come il fico è sterile, così l'uomo non fa frutti di conversione (cf. Lc 3,8).
Questo versetto riprende l’esigenza della conversione: «se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo» (v. 5) insieme alla stessa simbologia del Battista: la scure posta alla radice dell’albero (cf. Lc 3,9).
Ma quello gli rispose: padrone, lascialo ancora quest’anno.
La parabola pone l'accento sulla bontà di Dio. La cattiveria dell'uomo non può impedire a Dio di essere buono.
finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime.
Il vignaiolo non ne vuole sapere di tagliare l’albero anche se deve riconoscere che finora è stato improduttivo e s’impegna a lavorare perché il fico porti frutto: lo zappa tutt’attorno e gli mette il concime, cioè, la Parola seminata, annunciata, possa penetrare nelle radici di ciascuno e produca così i frutti graditi.
Viene da pensare a quell’opera attenta, premurosa, abbondante che Dio ha compiuto, attraverso Gesù Cristo, a nostro favore, per rendere la nostra vita feconda di frutti di bene. Ciascuno potrà ripercorrere nella memoria l’elenco di queste opere divine a cominciare dalla redenzione stessa, dall’amore infinito di Dio per noi. Questa considerazione potrebbe davvero svegliarci e renderci più pronti a una risposta generosa.
Vedremo se porterà frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai
Con questa ultima parte di versetto, termina qui la pericope evangelica. Gesù lascia aperto l’interrogativo lasciando che ognuno interroghi se stesso. Come va a finire non sappiamo. Il tempo che si prolunga è segno di misericordia, non assenza di giudizio. Il tempo si prolunga per permetterci di approfittarne, non per giustificare il rimando o l’indifferenza. E comunque la pazienza di Dio ha un limite. Il tempo è decisivo, non perché breve, ma perché carico di occasioni decisive, qualunque sia la sua durata.
Questo dialogo tra padrone e vignaiolo mette in risalto il valore dell’intercessione, della preghiera per ottenere misericordia, fatta da Gesù che è il vignaiolo al Padre che è il padrone. È la stessa intercessione chiesta da Abramo verso le città di Sodoma e Gomorra, la stessa intercessione di Mosè nei confronti di Israele nell’episodio del vitello d’oro. Il vignaiolo farà di tutto perché porti frutto come Gesù che in Lc 15 farà di tutto per ritrovare chi era perduto.
La conversione presentata dal Luca in questa parabola è raccontata per noi, oggi. È una chiamata a crescere nella linea del progetto di Dio, secondo il pensiero di San Paolo: «So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3,13-14).
Come leggo gli eventi della storia: come inviti a vedere l'opera di Dio o come giudizi di condanna? Come opportunità di salvezza o come fatalità?
Avverto nella mia vita la presenza salvifica di Dio?
Con quale impegno corrispondo alla cura di Dio? Ricambio il suo amore con gesti concreti di servizio?
Quali scelte ho fatto in questo cammino di quaresima? Hanno portato frutto? Su cosa sto realmente puntando? Che spazio ha la conversione, il rinnovamento della mia vita quotidiana?
Porto frutti di vera conversione?
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.
difende i diritti di tutti gli oppressi.
Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,
le sue opere ai figli d'Israele.
lento all'ira e grande nell'amore.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono (Sal 102).
Lasciamoci coltivare da Gesù, dalla Sua Parola. La Parola Sacra è come l’aratro, che viene a dissodare il terreno del nostro cuore, ma è anche come il seme che vi viene seminato, perché possa produrre quei frutti graditi a Dio.