Lectio divina su Gv 2,13-22
O Dio, che con pietre vive e scelte prepari una dimora eterna per la tua gloria, continua a effondere sulla Chiesa la grazia che le hai donato, perché il popolo dei credenti progredisca sempre nell’edificazione della Gerusalemme del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
18Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». 19Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». 20Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». 21Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Siamo nel “Libro dei Segni” (Gv 2,1-12,50). Giovanni non usa il termine miracolo ma la parola segno perché il miracolo dà l'idea di un intervento dal di fuori cioè, qualcosa di straordinario, il segno invece mi rimanda a qualcosa da approfondire: questo segno terreno che cosa mi vuole dire, che cosa vuole che io faccia?
Sono proprio i “segni” a distinguere Gesù dal Battista. Al cap. 10, 41 si afferma che: «Giovanni non ha compiuto nessun segno», perché i segni sono una prerogativa del Messia.
Giovanni in questa “sezione”, distingue sette segni: 1) Le nozze di Cana, Gv 2; 2) La guarigione del figlio del funzionario regale, Gv 4, 43; 3) La guarigione del paralitico, Gv 5; 4) La moltiplicazione dei pani, Gv 6; 5) Gesù cammina sulle acque, Gv 6; 6) Il cieco nato, Gv 9; 7) La resurrezione di Lazzaro, Gv 11. Nel cap. 12 troviamo la conclusione del “Libro dei Segni”, con la fine del ministero pubblico di Gesù e l’annuncio della sua morte imminente.
Il primo “segno” che Giovanni presenta è il segno del vino in Cana di Galilea; in quell’occasione Gesù aveva introdotto immediatamente la novità del suo messaggio: la nuova alleanza che scardina le regole e le istituzioni passate, percorrendo sentieri del tutto nuovi e trasformando alla radice il rapporto con Dio. La portata di questa novità assoluta è tale che non può non toccare il cuore della religiosità ebraica: il tempio, i rituali, i sacrifici.
Per la Festa della Basilica lateranense, abbiamo l’episodio sulla cacciata dei mercanti dal Tempio, che a differenza degli altri vangeli (Mt 21; Mc 11; Lc 19) che collocano l’episodio quando la vita pubblica di Gesù è già avviata, Giovanni, invece, lo mette in evidenza dopo il segno delle nozze di Cana, per annunciare il senso della sua missione: Lui sarà il nuovo sacrificio al Tempio, l’unico sacrificio, in quanto il vero agnello che compirà la vera Pasqua. Per questo di Cristo Gesù possiamo dire che è il Tempio nuovo nella sua stessa umanità.
Il brano raccoglie alcune espressioni e frasi che si ripetono nelle due scene (Cana e Gerusalemme) e fanno pensare che l’autore abbia voluto creare un contrasto tra le due scene. A Cana, un villaggio della Galilea, durante una festa di nozze, la madre di Gesù, dimostra una fiducia incondizionata in Gesù e invita all’accoglienza della sua Parola (2,3-5). Dall’altra parte, “i Giudei” durante la celebrazione della Pasqua a Gerusalemme rifiutano di credere in Gesù e non accolgono la sua Parola. A Cana Gesù fece il suo primo segno (2,11), qui i Giudei chiedono un segno (v. 18), ma poi non accettano il segno dato loro da Gesù (2,20).
Nel brano troveremo un Gesù diverso da come siamo abituati a vedere: indignato, con la frusta in mano, che getta per aria le bancarelle. Un modo per porre fine a un certo tipo di religiosità.
Questo episodio collocato all’inizio del IV Vangelo nei sinottici lo troviamo nella sezione della passione. Il motivo è che Giovanni ne fa un segno programmatico, un anticipo della risurrezione. Mentre i Sinottici presentano il motivo per cui Gesù è messo a morte.
v. 13: Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Il versetto inizia con una collocazione temporale: “si avvicinava la Pasqua dei Giudei”. Questa è la prima delle tre Pasque menzionate nel vangelo di Giovanni. La seconda è quella del discorso sul pane di vita. La terza è quella dell’ora della Passione. «La Pasqua dei Giudei» è una celebrazione scandita da regole precise, obblighi ritualistici, sacrifici prescritti nei minimi dettagli, compravendita di animali “regolamentari” da sacrificare, cambio di monete per l’obolo al tempio.
In occasione di questa Pasqua Gesù lascia Cafarnao per andare a Gerusalemme (da Cafarnao che è sotto il livello del mare a Gerusalemme circa 800 m. sul livello del mare), come usava fare ogni pio Israelita.
Forse Giovanni pensava in quel momento alla profezia di Malachia: Mal 3,1-3: «Improvvisamente verrà nel suo tempio il Signore che voi cercate… Chi potrà sopportare il giorno della sua venuta? … Egli purificherà i figli di Levi» (Mal 3,1-3), con un collegamento al titolo di Agnello di Dio che il Battista ha attribuito a Gesù (cf. Gv 1,29.36).
v. 14: Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Giovanni fa una presentazione graduale del Tempio. Intanto l’edificio che a quel tempo aveva un perimetro di circa 1500 metri, era stato da poco ricostruito da Erode il Grande, ma sarebbe stato distrutto nel 70 d.C. Era composto da due parti: un recinto, che si identificava con il Tempio stesso (hieròn), e il santuario propriamente detto (naòs). In quanto luogo della preghiera, dei sacrifici quotidiani e della celebrazione delle feste liturgiche, il Tempio era il cuore della vita d'Israele; ogni buon giudeo fedele alla Legge vi si recava in pellegrinaggio ogni anno. Questa prassi religiosa comportava usanze del tutto estranee alla preghiera e cioè la vendita sul posto degli animali destinati ai sacrifici, il cambio della moneta richiesta per l'acquisto degli animali e per le offerte.
Gesù trova i mercanti nell’area hieròn riferendosi al cortile dei gentili, tra il portico di Salomone e la porta Corinzia e agli atri che lo attorniavano. Quello che vede Gesù lo fa indignare perché l’onore di Dio è ignorato, disprezzato e vilipeso da un commercio improprio e inopportuno svolto nel tempio e approvato dalle massime autorità religiose.
Inoltre, Gesù trova quanti vendevano gli animali per i sacrifici assieme ai cambiavalute; essendo obbligatorio per pagare la tassa del tempio l’utilizzo della moneta prescritta, i pellegrini che giungevano anche da molto lontano dovevano cambiare il loro denaro. Gesù fa l’amara constatazione del carattere profano che ha assunto la festa di Pasqua: un vero e proprio sistema economico nelle mani di una casta, a tutti gli effetti “proprietaria del tempio”.
v. 15: Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi
Questo versetto è del tutto identico ai suoi paralleli sinottici, tranne per un particolare che lo pone su un altro piano. Rispetto al racconto dei sinottici Giovanni mette in scena alcuni elementi come la frusta e l’indicazione degli animali (oltre alle colombe e ai cambiavalute citati dagli altri evangelisti) che rendono la scena più viva.
Farsi una frusta era proibito perché nel tempio non si poteva entrare con le armi. Le cordicelle di cui si parla servivano a condurre il bestiame grosso. Sant’Agostino, riferendosi a Pr 5,22: «L’empio è preda delle sue iniquità è tenuto stretto dalle funi del suo peccato» commentando dice “il Signore trae dai nostri stessi peccati il materiale con cui correggerci e purificarci” (“de peccatis nostris sumit materiam unde nos puniat”, In Joh. 10).
Il gesto e le parole di Gesù però fanno eco alla tradizione profetica che metteva il nuovo tempio e l’azione purificatrice del Messia come tema dominante dell’escatologia giudaica. Gesù, alla maniera dei profeti, prende a cuore Dio e il suo tempio profanato da culti iniqui, cioè, viziati da comportamenti e scelte non corrispondenti alle vere esigenze di Dio (cf. Ger 7,11). Altri brani profetici di fondamentale importanza, annunciano un nuovo tempio tramite l’azione purificatrice del Messia: “In quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore degli eserciti” (Zc 14,21) e anche «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate» (Ml 3,1).
Inoltre, la purificazione del tempio viene espressa dall’Evangelista con tre verbi significativi: “scacciò tutti fuori”, “gettò a terra”, “rovesciò”. Questi verbi non indicano solo un atteggiamento deciso e forte di Gesù ma anche la presa di possesso del tempio con un nuovo senso e significato e va letto come una espugnazione dell’antico culto a Dio fatto di animali, incensi, offerte, in cui il cuore e la vita dell’uomo rimanevano lontani da Dio (cf. Mt 15,8). Il sacrificio sarà fatto dall’Agnello di Dio, Lui sarà il perpetuo sacrificio per riconciliarsi con il Signore.
v. 16: e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
Come Geremia, Gesù critica la pratica religiosa che il tempio sembrava richiedere a nome di Dio (cf. Ger 7,15); ma si manifesta anche come il Messia, il Figlio di Dio (cf. Sal 2,7), atteso dai giudei quale purificatore e giudice.
Gesù chiama il tempio “casa del Padre mio”, e non fa riferimento come i sinottici al testo di Is 56,7, ma alla finale del libro di Zaccaria: «In quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore degli eserciti» (Zc 14,21). Inoltre, egli parla della casa del Padre mio: quindi il Tempio di Israele agli occhi di Gesù è veramente la casa di Dio in Israele: niente deve alterarne la santità. Non si tratta solo di rivendicare un culto vero e spirituale, ma qualcosa di più profondo. Egli viene a sostituire tempio e sacrifici.
Gesù qui per la prima volta chiama Dio suo Padre e si proclama Figlio di Dio (il termine è tipicamente giovanneo anche se è presente nei sinottici). Parla come un figlio che chiede i suoi diritti. Nessun Israelita osava chiamare Dio suo Padre in senso personale, ma casomai, collettivo, in quanto Dio era considerato il Padre del popolo di Israele per le gesta meravigliose da Lui compiute (cf. Es 4,22; Nm 11,12; Ger 3,14-19; 31,20). Solo Gesù si comporta e parla del Padre in modo nuovo e unico chiamandolo Padre mio. Dopo la risurrezione anche i discepoli potranno chiamare Dio loro Padre, quando Gesù rivelerà a Maria di Magdala che Dio è Padre di tutti: «Ascendo al Padre mio e Padre vostro Dio mio e Dio vostro» (20,17).
v. 17: I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo della tua casa mi divorerà».
Giovanni continua ancora secondo le sue intenzioni riportando le reazioni provocate dal suo gesto. I suoi discepoli si ricordano di un passo del salmo 69: «perché io zelo per la tua casa mi ha divorato e l’oltraggio dei tuoi insultatori ricadde su di me». Secondo la Chiesa primitiva questo salmo è in riferimento al Messia: viene ricordato come una profezia della sua tragica fine (lo zelo mi divorerà). Ma i discepoli, in questo momento, forse pensano solo che Gesù si ponga sulla scia di quanti avevano a cuore l'onore di Dio e il rispetto verso il suo luogo di culto. Come Finees, Elia e Mattatia difenderà questo ideale per tutta la sua vita. Ciò sta a significare che questo gesto lo porterà a essere consumato come l’Agnello pasquale. Dovrà vivere, essere consumato nella passione per poi risorgere, perché la passione è amore “fino alla fine” (eis télos: Gv 13,1) ma anche ingresso alla risurrezione.
I discepoli di questo gesto fanno memoria, non solo per ricordare qualcosa del passato che si illumina di un significato ulteriore, ma anche come risposta di fede alla Persona di Gesù che si fa celebrazione, cioè memoria nel presente.
Nel Nuovo Testamento molte sono le citazioni di questo salmo e proprio in rapporto alla Passione (cf. Gv 15,25; 19,28; Mc 15,36 (con v. 22 del Sal); Mt 27,34; At 1,20; Rm 11,9-10; 15,3).
Il versetto porta alla luce non solo la passione di Gesù, ma anche un invito a riflettere sul significato del culto e sull'importanza di mantenere la purezza nella nostra relazione con Dio. Quindi non un culto limitato a un luogo, ma un atto del cuore.
v. 18: Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?».
Entrano in scena i Giudei (con questo termine Giovanni indica le autorità giudaiche del Sinedrio di Gerusalemme, composto da Sadducei e Farisei) che si presentano diffidenti e increduli chiedendo una prova che legittimi il gesto compiuto da Gesù, poiché hanno visto che si trattava di un gesto profetico. Questo è il caratteristico atteggiamento di chi non ha fede ed esige un miracolo spettacolare per credere. Gesù rifiuta questo compromesso, rifiuta, come al solito, un simile comportamento (cf. Mt 12,38-39; 16,1-4; Lc 23,8).
Queste posizioni sono la duplice caratteristica dell’uomo che si pone di fronte al Cristo e che Paolo esprime molto bene così: «E mentre i Giudei chiedono i segni e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocefisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1Cor 1,22-23).
v. 19: Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».
Come al solito Gesù non risponde direttamente alla domanda che gli porgono. Gesù, in maniera enigmatica offre un segno completamente diverso da quello che si attendevano. Qui Gesù non indica lo hieròn l’edificio in se ma usa il termine naòs, cioè la parte più interna del Tempio, quella in cui si trovava la presenza di Dio. questo per indicare che è Lui la presenza di Dio in mezzo al suo popolo.
L’ordine della distruzione del tempio è da intendere come conseguenza della condotta peccatrice del popolo. Egli si rivela come l'erede dei profeti, soprattutto di Geremia che aveva annunciato la distruzione del Tempio di Salomone a coloro che, pur commettendo il male senza ritegno, facevano affidamento sulla presenza dell'edificio sacro come garanzia magica di salvezza (Ger 7). Ma non vuole indicare solo questo. Gesù oppone al santuario che sarà distrutto uno (indicato solo con il pronome “lo”) che egli si dice in grado di ricostruire.
Il numero tre, “in tre giorni”, ha un sapore escatologico (Ag 2,6s) e fa riferimento al Tempio definitivo promesso dai profeti. Inoltre, Il verbo utilizzato “eghéiro” si adatta bene sia per la resurrezione dei corpi che per l’edificazione di un edificio, ed è differente da quello scelto dai sinottici.
Gesù sembra indicare sé stesso come l’autore di questo tempio escatologico, facendo passare il discorso dal tempio di pietra al luogo della Presenza.
v. 20: Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni, e tu in tre giorni lo farai risorgere?».
I giudei parlano anche loro del Tempio, ma i quarantasei anni si riferiscono alla costruzione di tutto il complesso del Tempio in particolare, il secondo Tempio, quello edificato dopo l’esilio. Secondo le Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio (15,11,1) il Tempio cominciò il diciottesimo anno di regno del re Erode il Grande, cioè il 20-19 a.C. contando 46 anni si arriva alla Pasqua del 28 d.C. che corrisponde al quindicesimo anno di Tiberio e coincide perciò con la cronologia di Lc 3,1. È questo uno dei dati cronologici più solidi della vita di Gesù.
I suoi interlocutori comprendono che Gesù si presenta davanti a loro con dei poteri troppo grandi, il potere stesso di Dio. Non possono far altro che ironizzare sulle sue parole.
Capita spesso, in particolare nel Vangelo di Giovanni, che gli ascoltatori fraintendono le parole di Gesù, in quanto non pensano al tempio escatologico, ma a una ricostruzione materiale del tempio storico, dopo una sua eventuale distruzione, e si meravigliano che ciò possa avvenire nel breve periodo di tre giorni.
Le parole di Gesù le ritroviamo dette dai Profeti: «Venite, ritorniamo al Signore … Dopo due giorni ci ridarà la vita, il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua Presenza» (Os 6,1-2). Ma i giudei non comprendono il discorso profetico di Gesù, fraintendendolo in senso materiale «secondo la carne» (cfr. 8,15). Però Gesù è ormai presente in mezzo a loro e loro dovranno fare i conti con questa presenza inquietante.
v. 21: Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Sappiamo che il Vangelo di Giovanni fu scritto tra il 90 e il 100 d. C., cioè dopo l'effettiva distruzione del tempio di Gerusalemme. Questo versetto, infatti, vuole essere solo un chiarimento della risposta di Gesù: il tempio vero è il corpo di Gesù. Il corpo di Gesù resuscitato sarà il nuovo santuario che sostituirà quello vecchio e sarà il centro del culto in spirito e verità (cfr. 4,21-22).
Il luogo in cui è presente Dio (1,14), il tempio nuovo di cui parlava Ezechiele da cui scaturisce l’acqua viva (cfr. Ez 40,1ss). Nel Nuovo Testamento il tempio è anche la Chiesa (cf. Ef 1,22-23; Col 1,18); il singolo cristiano (1Cor 3,16; 6,19), ma soprattutto come comunità. Questa Chiesa se è fedele allo spirito di Cristo, è la nuova Chiesa nel mondo.
Questo sarà possibile capirlo dopo la risurrezione di Gesù quando lo Spirito Santo abiliterà i credenti all’interpretazione della Storia e della Sacra Scrittura. Il nuovo tempio che egli avrebbe ricostruito è la presenza di Dio in mezzo al suo popolo che si realizza quando i credenti sono riuniti tutti insieme. Il tempio di Dio ormai è la Chiesa. Infatti, il versetto successivo chiarisce.
v. 22: Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
L'interpretazione delle parole di Gesù continua. Qui viene precisata la fede post-pasquale dei discepoli. I discepoli “ricordano”: è una delle attività più importanti dello Spirito Santo, fa ricordare tutto ciò che Gesù ha detto e farà capire il significato di ciò che è stato detto (Gv 14,26; 16,23). Giovanni utilizza lo stesso verbo del v. 17 in modo da attuare un parallelo tra la funzione della Scrittura e dello Spirito: entrambi illuminano e fanno comprendere gli eventi che Dio opera per il suo popolo e le opere che Gesù compie.
Il cristiano legge la scrittura e comprende ciò che Dio ha fatto per lui. A quale Scrittura si riferisce Giovanni? Molto probabilmente al salmo 69, che la Comunità cristiana leggeva in senso messianico.
Nelle parole di Gesù non c’è solo l’annuncio della Pasqua, la sua risurrezione, ma anche il frutto che ne seguirà. Questo i discepoli lo capiranno dopo la risurrezione di Gesù e scopriranno (fino ai nostri giorni) che dove c’è il corpo di Gesù, il suo santuario, lì c’è Dio, ivi l’umanità intera convergerà per trova salvezza, risurrezione e vita eterna.
Quali sono i mercanti e gli oggetti estranei che si trovano dentro di me?
Posso dire anche io, con la mia vita, “Lo zelo per la casa del Signore mi divora”?
Mi è mai capitato di sentire la presenza del Signore dentro di me, come in un tempio?
Ogni volta che mi reco al tempio mi accosto con fede e con timore al mistero di Dio?
Nel Tempio scorgo il segno della risurrezione?
aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce.
Perciò non temiamo se trema la terra,
se vacillano i monti nel fondo del mare.
la più santa delle dimore dell’Altissimo.
Dio è in mezzo a essa: non potrà vacillare.
Dio la soccorre allo spuntare dell’alba.
nostro baluardo è il Dio di Giacobbe.
Venite, vedete le opere del Signore,
egli ha fatto cose tremende sulla terra. (Sal 45).