giovedì 30 agosto 2018

LECTIO: XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (B)


Lectio divina su Mc 7,1-8.14-15.21-23


Invocare
O Dio, nostro Padre, unica fonte di ogni dono perfetto, suscita in noi l’amore per te e ravviva la nostra fede, perché si sviluppi in noi il germe del bene e con il tuo aiuto maturi fino alla sua pienezza.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
1Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. 2Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate 3- i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi 4e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, 5quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
6Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. 7Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. 8Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
14Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! 15Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro».
21Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, 22adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 23Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo».

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
Rientriamo nel vangelo di Marco che alle volte privilegia tematiche più pratiche del messaggio di Gesù. Al capitolo 6 si teneva il discorso sul “pane” (moltiplicazione dei pani), che abbiamo ascoltato nella 16ma domenica.
Il brano odierno parla del “cuore”, cioè dell’uomo nella sua sincerità e interiorità profonda: è da lì che nasce il vero culto a Dio, è lì il fondamento d’ogni scelta e valore morale.
Viene messa in discussione la nostra religiosità e, più globalmente, l’autenticità della nostra vita, sempre tentata di formalismi, ipocrisie e pretesti che la rendono falsa davanti a Dio e meschina davanti agli uomini.
La figura del fariseo descritto nel vangelo di Marco è una figura semplificata, che ha il difetto di semplificare la complessità della storia ma che ha il merito di metterne in risalto alcune linee essenziali, tipiche e provocanti. Il fariseo è l’espressione di una logica religiosa che può nascondersi ovunque. In effetti, la polemica contro il legalismo ebraico, iniziata da Gesù, fu continuata poi dalla comunità, in particolare da Paolo: la polemica si approfondì sempre più giungendo al cuore dell’originalità cristiana, cioè al tema della gratuità della salvezza: è la fede che salva, non la fiducia farisaica nella propria osservanza della legge. La polemica continuò perché ci si accorse, non senza sorpresa, che le resistenze farisaiche si riproducevano all’interno dello stesso cristianesimo: sempre c’è la tendenza a fidarsi delle proprie opere, a confondere comandamento di Dio e tradizione degli uomini, a moltiplicare le osservanze secondarie a scapito dell’essenziale.

Meditare
v. 1:Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Gli Scribi erano i teologi e gli interpreti della legge: la loro ambizione era la fedeltà alla volontà di Dio. Ma credevano di essere fedeli alla legge "ripetendola" e pensavano di essere attuali frantumandola in una casistica sempre più complicata. In tal modo finivano col chiudere la legge e con l'allontanarla sempre più dall'autentica volontà di Dio. Non è allargando o modificando la casistica che si attualizza la legge. "I farisei e alcuni scribi venuti da Gerusalemme": come in 3,22 la menzione di Gerusalemme mostra che gli scribi rappresentavano l'atteggiamento ufficiale di influenti capi giudaici nei confronti di Gesù.
La sua fama era evidentemente giunta sino alla capitale e costoro venivano forse non per accusarlo ma semplicemente per discutere con lui. In effetti, Gesù era ancora all'inizio della sua predicazione e ancora troppo lontano da Gerusalemme per richiedere un urgente intervento di opposizione.
vv. 2-5: Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
È noto che molti dei farisei erano osservanti non solo della legge (la Torah) ma anche delle aggiunte che lungo gli anni e i secoli i saggi d'Israele avevano raccolto: queste ultime sono quelle che l'evangelista chiama "le tradizioni degli antichi". Marco enumera alcuni casi in cui le prescrizioni farisaiche sembrano pignolerie e superstizioni: lo scrupoloso lavarsi le mani prima dei pasti, le abluzioni dopo il ritorno dal mercato. Ma non si tratta semplicemente di una critica alla morale; si vuole piuttosto sottolineare come comandamento di Dio e tradizione degli uomini devono essere tenuti distinti. Non sono infatti sullo stesso piano: perenne il primo e provvisorie le seconde.
Con tali prescrizioni rituali si voleva circondare di rispetto, concreto e minuzioso, il mistero di Dio. E va detto che non si deve affatto disprezzare tale attitudine. Se pensiamo alle nostre liturgie eucaristiche domenicali è da rimproverare semmai una certa superficialità nel trattare le cose di Dio.
Le tradizioni, anche se sono buone e nascono da uno sforzo di interpretazione del comandamento, non devono essere tali da nascondere il comandamento stesso, tali da sottrarci all’essenziale. Ciò che è essenziale, secondo Gesù, è la conformazione interiore alla parola e alla volontà di Dio.
vv. 6-7: Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini.
Gesù risponde citando Isaia (Is 29,13) stigmatizzando la grettezza di un atteggiamento puramente esteriore: onorare Dio con le sole labbra restando chiusi nel cuore e lontano da Lui pensando nella loro cecità e stoltezza di vivere una religione pura. Questo è il lamento di Dio per un culto puramente esteriore. Di tale culto Egli non sa che farsene. Al modo di intendere degli scribi e dei farisei, Gesù oppone il fatto che c’è un cuore lontano. La vicinanza o lontananza del cuore dell’uomo da Dio è la chiave di lettura di questo testo. Dicendo “cuore” si intende la presenza dell’uomo a se stesso, la sede delle decisioni ultime, la sede dell’intelligenza e della volontà. Questo cuore, dunque, ha la sua ragione di essere nella vicinanza con Dio. Quando Dio, in un libro all'Antico Testamento, ci dice: «Figlio mio, dammi il tuo cuore» (Prv 23,26), non vuol dire: «Dammi i tuoi sentimenti», ma «Dammi la tua vita». Il cuore santo di Gesù (di cui molti sono devoti) non presenta i suoi sentimenti più o meno teneri per noi, ma la sua vita data con amore per noi. C’è un rapporto strettissimo tra ciò che le labbra proferiscono e ciò che viene dal cuore. Il rimando da parte di Gesù ai farisei non è semplicemente e solo al cuore dell’uomo, quanto piuttosto a dove il cuore è posto, a dove il cuore è collocato, cioè alla sua vicinanza o lontananza da Dio. La maggiore o minore lontananza dal Signore dice la bontà del tuo cuore. Il problema che già Isaia segnalava e di cui accusava il suo popolo, è la lontananza del cuore da Dio. Questo discorso di Marco va direttamente alla radice, al cuore dell’uomo, luogo delle decisioni fondamentali e dell’atteggiamento globale della vita. Per afferrare il “pane” non servono le mani pure, ma il cuore “secondo il Signore”. Così vengono poste, con questo discorso, le premesse per il dono del pane ai ‘cagnolini’, ai pagani: se i discepoli mangiano il pane con mani impure come i pagani, allora anche i pagani possono mangiare il pane, anche se ritualmente impuri.
v. 8: Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Non si tratta di condannare le pratiche rituali, né di favorire una religione intimista e individualista. E neppure si vuole attenuare l'osservanza della legge. Gesù conosce bene quanto Mosè ordinò al popolo d'Israele: “Ora dunque, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, perché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso del paese che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla”  (Dt 4, 1-2).
Al comandamento di Dio hanno contrapposto i comandi (i 613 precetti), derivanti dalla tradizione umana; i precetti contraddicono il precetto divino. Queste diverse forme di legalismo sono sempre un modo per rifiutare Dio. Il legalismo farisaico nasce da una incomprensione di Dio e offre una ragione per rifiutarlo: rappresentò un motivo per rifiutare Gesù. Gesù non esorta affatto a disobbedire alla legge. Quel che condanna è la lontananza del cuore degli uomini da Dio. È il rapporto personale tra l'uomo e Dio che è posto in questione da Gesù. Ecco il comandamento di Dio a cui Gesù stesso allude e che esige l’impegno totale, la coerenza tra cuore, anima e persona intera. È l’opposto di quella ipocrisia di cui Gesù accusa coloro che lo interrogano: l’apparenza di un atteggiamento religioso che nasconde un cuore orientato all’empietà.
vv. 14-15: Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro».
L’elemento essenziale è costituito dalla piccola parabola di Gesù, che ancora una volta i discepoli non comprendono: non è ciò che entra nell’uomo che lo contamina, ma ciò che esce dal suo cuore, questo contamina l’uomo. Gesù afferma la morale del cuore, non solo delle azioni. È l’uomo che deve essere in ordine: solo da un uomo ordinato procedono azioni ordinate. È un richiamo alla retta intenzione. Il primo dovere di coscienza, per Gesù, è di tenere pulita la coscienza, prima ancora di seguirla. Si tratta di fare cose che provengono da un cuore retto. Per Gesù il cuore deve essere pulito, perché deve essere in grado di cogliere la volontà di Dio. Solo un cuore puro può cogliere la volontà di Dio. Il cuore retto di cui parla Gesù è fatto di disponibilità, intendendo con ciò libertà e intuizione. Si tratta di creare una situazione interiore capace di leggere di nuovo la volontà di Dio. Il cuore è il luogo dove Dio si rivela.
vv. 21-23: Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo».
Gesù dice: “Tutto dipende dal tuo cuore” e “Ciò che hai dentro è la tua vita o la tua morte”. Il Signore conosce il cuore dell'uomo. Quello che vuole indicare in questi versetti non è altro che una educazione ad una coscienza critica. Alla luce del cuore dell’uomo, Gesù legge tutto il resto; ad esempio: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo. Purità e impurità riguardano innanzitutto la persona e non le cose; le persone possono essere contaminate non dalle cose ma soltanto da se stesse, agendo in modo contrario al comandamento di Dio. Da questo punto di vista allora si può dire che tutto è puro per chi è puro. Non è una condizione che inquina il cuore dell’uomo, piuttosto è il cuore dell’uomo, nel momento in cui si allontana dalla logica di Dio ad essere motivo per rendere ogni cosa impura. “Se prendete un albero buono anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? Poiché la bocca parla dalla pienezza del cuore” (Mt 12,33-34).
Se ciò che fai non nasce dal cuore è una prestazione. Non è tanto quello che fai che conta ma se in ciò che fai c’è un cuore, cioè, se tu sei coinvolto in ciò che accade. Questa è anche la grande responsabilità a cui il Signore chiama gli uomini. Da questo punto di vista si potrebbe dire che l’unica cosa che l’uomo deve temere è se stesso, ma se stesso in quanto prescinde da quella che è la logica di Dio. Il Dio a cui rendi culto è il Dio che ti conosce nel cuore e ti chiama al culto perché ti conosce nel cuore; ti chiama al servizio a Lui, alla comunione con Lui.
Per Gesù l’essenziale nella vita non è la legge e la sua esecuzione o non esecuzione, ma il cuore, cioè l’amore con cui si osserva la legge, la volontà di seguire lui come maestro e fonte di vera vita, come modello e forza di autentico amore al prossimo. “L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore” (Lc 6,45). Senza questo cuore, l’esecuzione della legge diventa pesante e senza gioia, o una copertura momentanea al nostro vuoto d’amore. Per Gesù è l’interiorità, ciò che hai dentro, ciò che vive nel tuo cuore, che determina l’esteriorità. L’interiorità opera verso l’esteriorità come un vaso che trabocca: la maggior parte del suo contenuto rimane nascosta (tesoro); ciò che esce è soltanto e non può essere altro che ciò che c’è dentro. Tutto dunque è fondamentalmente questione di amore, di espressione d’amore, di alimento d’amore: di un amore da uomo, da uomo alleato di Dio e dei suoi fratelli.

La Parola illumina la vita e la interpella
▪ Quanto è importante per me l'ascolto della Parola di Dio?
▪ La mia vita è mossa dall'amore o dall'egoismo? È pulita dentro o fuori?
▪ Il mio cuore è arrabbiato o sente amore, compassione?
▪ Il mio cuore può espandersi fino ai confini del mondo, a tutte le persone e sentirli fratelli e sorelle? ▪ Oppure non sente più nulla, è morto, arido, rinsecchito?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.
Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.

Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre. (Sal 14)

Contemplare-agire  L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
Oggi, nella mia pausa contemplativa, ripenserò il mio vivere da cristiano alla luce di questa parola di Gesù. E vedrò com'è dal di dentro, cioè dal cuore, che le intenzioni cattive muovono l'agire degli uomini, spesso anche me. E tutti i generi di mali elencati da Gesù vedrò che non a caso confluiscono nell'ultimo: "la stoltezza".