Lectio divina su Lc 19,28-40
Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fa’ che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione, per partecipare alla gloria della risurrezione. Egli è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
37Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, 38dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». 39Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». 40Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».
Il racconto di Luca presenta l'ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme, prima della passione e ne segna il suo ministero a Gerusalemme (Lc 19,28–21,38). Questa sezione del vangelo ha un suo proemio in un'altra unità del racconto evangelico di Gesù, in cammino verso Gerusalemme (cfr. Lc 9,51; 13,33; 18,31).
Tutti e quattro Evangelisti, riportano il racconto dell'ingresso messianico. Solo Matteo e Giovanni sono così espliciti nel far riferimento a Zc 9,9-10: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina. Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra». Zaccaria fa capire attraverso questo oracolo che la vittoria del Messia non arriverà a seguito di un evento militare, ma solo mediante la forza di Dio. Il Messia conquisterà il popolo e lo porterà alla pace attraverso le Sue parole. Una pace che sarà conquistata e manifestata alla fine dei tempi.
Il racconto che segue si articola, parallelamente a quello di Marco, in due scene: invio dei due discepoli per prelevare il puledro (vv. 29-34); ingresso messianico (vv. 35-40).
v. 28: Dette queste cose.
L'inizio di questo versetto rimanda all'ultimo insegnamento: la parabola delle mine (19,11-27), quando Gesù si trovava nei pressi di Gerusalemme e fece capire che, nonostante questa vicinanza, la cieca Gerusalemme non si accorse quando Gesù li istruì, e operò segni davanti ai loro occhi, a testimonianza della Verità sul motivo della Sua venuta in questo mondo. Il versetto richiama anche a quanto precedeva il grande viaggio, iniziato in 9,51-19,27: «... decise di [rese duro il suo volto per] andare (poreuesthai) verso Gerusalemme») egli vuol sottolineare che, entrando a Gerusalemme, Gesù porta a compimento l’insegnamento impartito precedentemente; al tempo stesso mette in luce il carattere estremamente determinato della scelta di Gesù che, proprio come aveva iniziato il suo viaggio, così ora avanza sicuro, precedendo tutti gli altri, verso la città santa.
Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.
Gerusalemme è una città collocata sul monte, meta finale del pellegrinaggio dei popoli: Verranno molte genti e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore e al tempio del Dio di Giacobbe» (Mi 4,2). L’evangelista vuole sottolineare il cammino in salita verso Gerusalemme luogo dove si deve realizzare la salvezza. Questo è il luogo discusso "nella Legge e i Profeti" (cfr. Lc 9,31).
Gesù viene in questo momento da Gerico, dal luogo dove è stata raccontata la parabola delle mine. A Gerico Gesù ha ridato la vista a Bartimeo (Mt 20,29; Mc 10,46; Lc 18,35) e ha convertito il ricco Zaccheo (Lc 19,1), realizzando, in favore di entrambi, il suo ministero di Buon Pastore (cfr. Gv 10,11-18). Ora il buon Pastore sale, deciso, a Gerusalemme con "la pecorella sulle spalle", preludio di un'altra salita.
v. 29: Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli
Due località menziona l’evangelista Luca: Betfage e Betania. Egli rilegge l'ingresso di Gesù basandosi sulle antiche profezie che alimentavano le attese messianiche: "In quel giorno i suoi piedi si poseranno sopra il monte degli Ulivi che sta di fronte a Gerusalemme verso oriente" (Zc 14,4).
Luca non dice in che momento arriva Gesù in queste due località. Solo dal confronto con gli altri sinottici appare che il fatto è avvenuto nel primo giorno della settimana (domenica). Come pure, non dice chi sono i discepoli inviati. Di quest’ultimo particolare sappiamo che fa parte dello stile del Maestro inviare per preparare e collaborare alla sua missione.
vv. 30-31: Andate nel villaggio di fronte.
Seguendo lo stile dell'evangelista Marco, Luca riporta le istruzioni date ai due discepoli da Gesù. Non vengono inviati allo sbaraglio, a loro da’ autorità rendendoli sicuri di non essere abbandonati da Lui. Rende più perentoria la sua richiesta tralasciando l’assicurazione che egli rimanderà subito il puledro. Il fatto che Gesù sappia esattamente dove si trovino l’asina e il puledro e il modo imperativo con egli cui ordina ai suoi discepoli di andarli a prendere, vogliono mettere in risalto l’autorità del Messia.
Troverete un puledro legato.
Perché un puledro? La scelta del puledro come cavalcatura non è un dettaglio da poco. Esso, infatti, esprime ciò che Gesù è ed è sempre stato: mite e umile di cuore.
Questo puledro è legato. La profezia è rimasta legata, è rimasta nascosta, perché, tra le tante attese di un messia trionfatore, di un messia vendicatore contro i pagani, questa era rimasta emarginata, non era stata accolta. Era stata come legata.
sul quale nessuno è mai salito
Anche questo particolare, “sul quale non è mai salito nessuno”, non è casuale, ma ha dei riferimenti nell’AT: come gli animali che erano destinati per il sacrificio non potevano essere usati per lavori comuni, così anche la cavalcatura di Gesù, re e Messia, vera vittima sacrificale doveva essere un puledro “sul quale nessuno era mai salito”.
Slegatelo e conducetelo qui.
Il verbo “slegare” sarà ripetuto per quattro volte (senza dimenticare che in altri brani si ripete, in quanto Dio scioglie dai legami della morte eterna). Gesù è venuto a sciogliere quella profezia che era rimasta legata, quella di un messia di pace, perché questo messia di pace nessuno lo voleva. Volevano un messia violento, un messia potente, ma di un messia di pace non sapevano che farne.
Il Signore ne ha bisogno.
Il versetto indica la parola "Signore" in contrapposizione al termine proprietari, padroni, perché Gesù è Il Signore che slega la profezia, colui che libera. Quei proprietari, padroni sono quei signori, quei capi del popolo che invece la tenevano legata alla morte.
Quel "bisogno di Gesù" è racchiuso in un animale. Non è un cavallo che serve per il potente, per la guerra ma è un asino, che si usa in tempo di pace. Gesù non giunge a Gerusalemme come capo militare, circondato da un esercito a cavallo, ma seduto sopra un asino e circondato da una folla festante a piedi: non si tratta di una parata militare, ma di una processione liturgica.
Il cavalcare asine è descritto nel libro dei Giudici nel cantico di Debora (Gdc 5,10) segno di pace e tranquillità e come segno di autorevolezza (Gdc 10,4; 12,14).
v. 33: Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?».
A nessuno interessa attualizzare una profezia in questa maniera. Attendevano un'altro tipo di salvezza, non quella dalla morte eterna.
Il puledro di cui si parla è un puledro mai cavalcato, come dovevano essere gli animali destinati ad uso sacro (cfr. Nm 19,2; Dt 15,19; 21,3). Il verbo usato non è cavalcare ma "sedere". Solo il Signore può sedere sul puledro; solo il Signore può presiedere la profezia per attuarla. Il fatto che Gesù scelga intenzionalmente di entrare in Gerusalemme cavalcando un puledro costituisce un riferimento, anche se implicito, alla profezia che annunzia l’ingresso del Messia nella città santa (Zc 9,9; cfr. 14,3-4).
vv. 35-36: e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada.
Due versetti, due volte il mantello risuona nel cuore. Il mantello nella Bibbia indica se stessi, la propria persona e quanto comporta. Il mantello fa pensare anche al dono-chiamata della vita, che ognuno riceve da Dio senza venire interpellato.
Questo mantello viene gettato sulla sacralità dell'animale. Ciò vuole indicare quella condivisione di pace, di quello stesso ideale. Mentre il mantello gettato per strada indica un’intronizzazione regale e quindi una sottomissione al nuovo re. Due gesti opposti, infatti, tra la folla c'è chi pensa a un Messia militare.
In chiave spirituale possiamo leggere un'altro tipo di dominio: rimettere se stessi in Dio, perché Lui sia al centro dell'esistenza, perché ci sta un'altro mantello da assumere: Cristo e il suo giogo (cfr. Mt 11,25-30).
v. 37: tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto.
L'incontro con Gesù provoca gioia, esultanza, lode, a gran voce. Questi motivi della gioia e della lode a Dio per i suoi prodigi, che nel terzo vangelo accompagnano la manifestazione del Messia, servono qui ad accentuare il tono messianico del racconto.
v. 38: Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!
Continua la gioia del versetto precedente. I discepoli innalzano il loro "osanna" all’ingresso trionfale di Gesù.
Questa è una citazione del Sal 118,26, nella quale però egli ha aggiunto il termine re, rendendo così esplicito il carattere messianico dell’ingresso in Gerusalemme. Omette poi la frase successiva di Marco: “Benedetto il regno che viene del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli”, sostituendola con l’acclamazione: "Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!". La gloria di cui si parla, nel linguaggio della Bibbia, indica la realtà personale di Dio in quanto si comunica. La gloria presente in mezzo a noi produce pace cioè quella felicità, pienezza, vita, amore.
Queste parole riecheggiano l’inno pronunziato dagli angeli sulla grotta di Betlemme (Lc 2,14: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama»), con la differenza però che sia la gloria che la pace si situano in cielo: le promesse messianiche si stanno realizzando mediante la comunicazione della gloria e della pace, le quali però si trovano per il momento ancora in cielo. Ieri era la moltitudine di angeli a cantare. Oggi è la moltitudine dei discepoli durante l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme.
v. 39: Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli».
Di fronte a questa novità gioiosa, che non è accettata dal popolo, ecco i rappresentanti religiosi, i farisei, reagiscono.
Il verbo "rimproverare", adoperato da Luca, veniva usato per liberare le persone dai demoni, nell'esorcismo. Infatti, il termine letterale è "sgridare".
Per i farisei, quello che i discepoli stanno dicendo, acclamando un messia di pace, e non il messia violento, è qualcosa di demoniaco, che non corrisponde al piano di Dio e loro, i farisei, che sono i zelanti custodi della legge, sanno tutto e conoscono tutto sul piano di Dio ma vogliono tenerlo legato.
v. 40: Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».
C'è un richiamo ad Abacuc, secondo il quale sono le pietre stesse della casa a pronunziare la condanna di coloro che l’hanno costruita con guadagni illeciti (2,11). Inoltre, richiama la predicazione del Battista (Lc 3, 8) o le pietre delle rovine di Gerusalemme, che daranno in un certo senso testimonianza a Gesù.
Anche nel Salmo 118, che fa da sfondo al nostro brano, possiamo trovare dei richiami alla frase di Gesù nell'espressione: “la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo” (v. 22).
La discesa di cui si parla è quella che passa attraverso la valle di Giosafat, chiamata anche la valle del giudizio, che era disseminata di pietre tombali. In altre parole, forse mettere a tacere i discepoli, ma non la forza della parola di Dio (2Tm 2,9), anche in quest’ambito di morte, proclamerà il dono di Dio all'umanità, cioè un messia che porta la pace.
Salgo anche io, con Gesù, verso Gerusalemme, verso la croce? Cosa stendo ai suoi piedi: palme o me stesso?
Sono anche io tra quei "padroni" che non permettono la salvezza, la lasciano legata?
Quando vado verso il mio prossimo sono umile, pacifico come Gesù?
Riconosco nell'umiliazione di Gesù la piena manifestazione dell'amore del Padre per tutti gli uomini?
Anche io esulto di gioia al passaggio di Gesù nella mia vita guardando la Croce oppure è solo un formalismo freddo?
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l'ha fondato sui mari
e sui fiumi l'ha stabilito.
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli,
chi non giura con inganno.
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia.
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
Il Signore degli eserciti è il re della gloria (Sal 24).
Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d'olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. (Sant'Andrea di Creta, discorso sulle Palme)