Lectio divina su Lc 23,35-43
O Dio Padre, che ci hai chiamati a regnare con te nella giustizia e nell’amore, liberaci dal potere delle tenebre; fa’ che camminiamo sulle orme del tuo Figlio, e come lui doniamo la nostra vita per amore dei fratelli, certi di condividere la sua gloria in paradiso. Per Cristo nostro Signore. Amen.
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
In questa domenica XXXIV del Tempo Ordinario, festa di Cristo Re, chiusura dell’anno liturgico, la liturgia mette alla nostra attenzione la novità scandalosa di un Dio che presenta la sua regalità dal trono della Croce. Oggi contempliamo la Croce in contrapposizione al regno di questo mondo.
Proviamo ad andare indietro in questo Vangelo lucano, nel momento in cui Gesù fu tentato dal diavolo nel deserto (Lc 4,1-13). L’Evangelista annota, che il diavolo «dopo aver esaurito ogni specie di tentazione si allontanò da Lui per ritornare al tempo fissato» (v. 13). Questo è il tempo fissato: il momento della crocifissione e della morte di Gesù, il momento della sua regalità.
Luca riferisce nel suo racconto gli ultimi momenti della vita terrena di Gesù usando più volte i termini salvare e salvezza e in questo suo ripetersi, vuole comunicarci come Cristo è Re della nostra vita e della nostra storia.
La sua regalità si manifesta in modo contrario alla regalità umana: per Gesù la regalità è servizio per la salvezza del popolo, fino al dono di sé nel momento più cruento, estremo della sua vita.
Nella sua “nuova mangiatoia” Gesù trova due ladroni, di cui uno si associa a quanti lo deridevano, mentre l’altro professa la sua fede in Cristo. Quest’ultimo Gesù lo premia rendendolo partecipe della vita divina.
v. 35: il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Siamo al Calvario, un luogo di morte, un luogo di pianto. Questo luogo in questo preciso istante è stato trasformato in un “palcoscenico di morte” che Cicerone chiamava “mors turpissima crucis”: “L’orribile morte di croce!”. Non mancano testimonianze che la definiscono la pena che più di ogni altra suscitava commiserazione e pietà. Sant’Agostino lo definisce “terribile ed umiliante agli occhi degli empi, ma chi sa guardare con sentimenti di devozione, trova qui un grande sostegno per la sua fede” (Agostino, Comm. a Giovanni 117, 3).
Gesù giunto al Calvario è crocifisso tra due ladroni e i suoi crocifissori si dividono le sue vesti tirandole a sorte (v. 34). Il versetto inizia così: “il popolo stava a vedere”. Possiamo anche dire che “il popolo stava a contemplare” in quanto il “vedere” di cui parla l’Evangelista ha la sua radice in “contemplare”; infatti, Luca vede un popolo che contempla il Crocifisso, vede la comunità cristiana che partecipa alla passione di Gesù. In questo momento abbiamo la visione (contemplazione) di uno che viene ucciso ingiustamente, da innocente, e che è capace di smuovere il cuore e di portare ad un cambiamento interiore. Ma Luca inizia ad annotare che da questo momento nascono le varie interpretazioni su Gesù e sono anzitutto “i capi” che lo “deridevano” chiedendo a Dio di salvare se stesso. Questo per Luca è il ripetersi delle tentazioni che Gesù ebbe nel deserto, in particolare quello dell’auto-salvezza.
Negli sguardi dai mille perché, nella derisione dei capi, in qualche maniera dicono chi è Gesù: il Cristo di Dio, l’eletto. Senza volerlo descrivono la regalità di Cristo Gesù. Infatti, Gesù sdemonizza l’immagine di Dio. Dio non è l’egoista di turno che cerca di distruggere gli altri e salvare sé stesso a tutti i costi. Dio dona la vita per tutti.
La tentazione per Gesù è sempre forte. Dietro le parole dei capi c’è un ragionamento puramente umano, un rifugiarsi per salvare sé stessi. Gesù, però, non è venuto per salvare se stesso (cf. Mt 5,17).
In questa tentazione ci siamo anche noi, perché anche noi cerchiamo di metterci in salvo, di lavarci le mani: vogliamo sopravvivere! L’uomo della Croce, in questo momento, ci sta dicendo tutto l’opposto. La propria salvezza consiste nel donare la propria vita. Salvare se stessi e non la vita altrui, non è da cristiani!
vv. 36-37: Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso».
La derisione diventa contagiosa, che oltre i capi, persino i soldati che di campo religioso sono proprio asciutti “lo deridevano”. Probabilmente si concentra sull’aspetto politico in quanto ci sta una accusa nel processo romano (cf. Lc 23,3). Eppure, anche loro ripetono in qualche maniera la proposta del maligno: “salva te stesso”.
I soldati, oltre a deridere Gesù gli offrono dell’aceto. Se il vino è l’immagine dell’amore l’aceto è l’immagine dell’odio. Sulla croce Gesù è febbricitante e offrirgli dell’aceto significa portare odio, essere crudeli, senza umanità, perché in quel momento cruciale la sete diventa insopportabile e con l’aceto non potrebbe che crescere. Il Salmista ci ricorda: «L’insulto ha spezzato il mio cuore e mi sento venir meno. Mi aspettavo compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati» (Sal 69,21-22; cf. Sal 22,16).
In questa massima crudeltà e massimo scherno, il gesto dei soldati è paragonata all’offerta di una vita andata male. In realtà Gesù è passato di villaggio in villaggio incontrando una vita andata male. Ha sanato e ora porta a compimento le parole delle Scritture. Un evento salvifico e non una storia qualsiasi da raccontare.
A Gesù viene inflitta una colpa: “re dei giudei”. Un titolo che è stato motivo di discussione al suo processo. Gesù in effetti è Re ma non alla maniera umana, la sua regalità sarà «scandalo (inciampo) per i giudei, stoltezza per i pagani» (1Cor 1,23). La sua regalità consiste nel fare la volontà del Padre: donare la sua vita per salvare quello che era perduto (Lc 19,10).
v. 38: Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
La sua colpa Gesù la porta sopra al collo, con una nota di disprezzo come qualsiasi delinquente. Anche questa tavoletta è oggetto di derisione. Essa porta un messaggio da leggere e non solo.
Giovanni nel suo Vangelo noterà l’ironia scritta da Pilato e i capi che protestavano dicendo: «non scrivere che è il re dei giudei» (Gv 19,16-22). Pilato con questa scritta non fa altro che realizzare le Scritture; infatti, Gesù è il re atteso ma non alla maniera di coloro che lo hanno mandato a morte. I criteri del Messia di Dio sono lì, sul Calvario. Gesù è re dei giudei perché il suo potere non è quello di salvare se stesso, ammazzando gli altri, ma è quello di essere talmente libero da dare la vita per tutti e servire tutti. Per questo è il re che ci libera da ogni oppressione del potere dell’uomo sull’uomo.
Purtroppo, ieri come oggi molti si mettono al posto di Dio pensando di dare i criteri di Dio e invece sono solo quelli personali. Gesù è Colui che salva e ci salva se ci lasciamo salvare, se ci liberiamo dal ripiegamento su noi stessi aprendo il cuore all’amore.
Questa tavoletta allora diventa una consegna che Gesù fa: «prendete il mio giogo sopra di voi … Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11,29-30). Gesù non ha bisogno di scettri per regnare, perché il suo scettro è l’amore per ogni persona. Occorre semplicemente viverlo nella quotidianità.
vv. 39-41: Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!».
Uno dei malfattori partecipa agli scherni degli altri cercando, attraverso l’offesa, l’insulto, una via di fuga per salvare se stesso. La sua reazione è priva di senso, è già morta in sé.
Ancora una terza volta Gesù si sente dire “salva te stesso” e adesso con l’aggiunta “e noi”. Trapelano parole egoiste ma dalla morte nessuno può salvarci, motivo per cui siamo mortali. Infatti, abbiamo sempre paura della morte in quanto vorremmo che la vita biologica durasse in eterno.
L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?
Questo malfattore vive del “timore di Dio” che nella Bibbia e nel giudaismo il timore di Dio è l’atteggiamento autenticamente religioso e implica riconoscimento della potenza di Dio, fiducia, obbedienza (cf. Dt 6,13;8,6; Pr 1,7;2,5). Egli è l’uomo che accoglie il mistero divino, è con Cristo, è accanto a lui e questo lo distingue anche nel richiamare l’altro che non vede la vita che ha davanti agli occhi e che continua a sciuparla. In altre parole, quel malfattore si è fatto voce di Cristo, riconoscendo le sue responsabilità e aiutando l'altro a leggere il momento presente come una opportunità di salvezza:
La conversione di quest’uomo è segno che di quella tavoletta ne fece l’emblema della sua vita. L’ha appesa al proprio collo. L’amore di Dio lo ha visitato. Anche noi in quel segno siamo visitati da Dio.
Nel segno della crocifissione, “il buon ladrone” riconosce l’amore di Dio, confessa il suo peccato e professa la sua nuova fede. Il “buon ladrone” riconosce che Dio ha un amore più forte della morte (cf. Ct 8,6).
Questi due ladroni ci rappresentano. In loro troviamo contraddizione e continue tentazioni che sta nel nostro cuore. Anche in noi ogni giorno vi è quella lotta tra incredulità e fede, auto-salvezza e affidamento a Dio. È la lotta spirituale tra l’uomo vecchio, che in noi non è ancora morto del tutto e l’uomo nuovo, nato dal Battesimo, che si rinnova di giorno in giorno (cf. Ef 4, 20-24), ma che non è ancora giunto alla piena maturità.
vv. 42-43: E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Nella Bibbia il ricordo di Dio e quello dell’uomo s’intrecciano e costituiscono una componente fondamentale della vita del popolo di Dio.
Nell’AT, se qualcuno prega nelle sue difficoltà, alza la sua voce a Dio perché si ricordi della sua opera salvifica, della sua alleanza (cf. Gn 9,15; Es 2,24; Sal 104,8; 110,5). Anche il ladrone fa la stessa cosa con Gesù: anzitutto lo chiama per nome, lo riconosce Dio ai piedi di quel trono di gloria e chiede un ricordo nel regno di Dio e chiede di intervenire in suo favore richiamando così la fedeltà di Dio alle sue promesse, alla sua alleanza (cf. Lc 1,72).
La preghiera del ladrone è esaudita da Gesù, Egli lo introduce nell’oggi definitivo, nel nuovo Regno non perché era buono (Luca non lo dice) ma perché è stato capace di accogliere la salvezza che in quel momento passava dalla croce. Infatti, “Il fondamento della divina misericordia si rivela nella croce di Cristo, il quale prende il posto di molti e muore per loro” (Alois Stöger).
Cristo non entra da solo nel suo regno, porta con sé il primo dei salvati. Il malfattore pentito sarà con Gesù, che è il paradiso tanto bramato da Paolo: “Bramo dissolvermi ed essere con Cristo” (Fil 1,23; cf. 1Tes 4,17). In queste parole troviamo l’invito a seguire Cristo, a fare come Lui ha fatto, per poter godere del Paradiso.
Qual è il mio atteggiamento di fronte alla sofferenza? Sono tra quelli che stanno a vedere?
Butto al vento quanto è scaturito dalla Parola di Dio per me e per gli altri?
Sono come il primo o come il secondo malfattore?
Che tipo di preghiera faccio: egoista o secondo il cuore di Dio?
Accolgo la salvezza che passa dalla mia casa, dalla mia vita o la respingo deridendola?
Anche io come Paolo, come il ladrone “bramo dissolvermi ed essere con Cristo”?
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide. (Sal 121).
Lasciamoci illuminare dalla forza che scaturisce dalla Croce, in maniera che anche il palpito più nascosto, il sospiro impercettibile, lo sguardo più insignificante e la parola più banale, ci faccia dire nella vita di tutti i giorni che il Cristo Re è signore della nostra vita e della nostra storia.