mercoledì 19 agosto 2020

LECTIO: XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno A

Lectio divina su Mt 16,13-20

Invocare
O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti,perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. 
Per Cristo nostro Signore. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere)
13 Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». 14 Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.

Dentro il Testo
Nella sezione che intercorre tra il terzo e il quarto dei discorsi di Gesù (cc. 14-17), Matteo riporta la sezione marciana che va dalla visita di Gesù a Nazareth fino al secondo annunzio della passione (Mc 6,1-9,32). Dalla terza parte della sezione di Matteo (16,13-17,27), di carattere più esplicitamente ecclesiologico, la liturgia riprende anzitutto il brano iniziale, cioè la professione di fede di Pietro.
In Matteo, diversamente da Marco, questo brano occupa un posto centrale, in quanto egli ha scritto il vangelo con lo scopo di proclamare la messianicità di Gesù. Infatti, l’ episodio di Cesarea di Filippo rappresenta una delle grandi svolte del racconto di Matteo.
Gesù sta gettando le fondamenta della Chiesa, la realtà che continuerà a renderlo presente e operante nel mondo dopo la sua morte, risurrezione e ascensione al cielo e l’Evangelista mette in risalto la figura di Pietro, come colui sul quale si fonda la Chiesa di Cristo.
Nel brano possiamo cogliere un’esperienza di conoscenza e di fede sul mistero della persona di Gesù. Due elementi del cammino che non si conquistano con i meriti né con i ragionamenti. La fede è dono di Dio Padre. Questa stessa fede ha accompagnato quei personaggi che la storia biblica ci ricorda ancora oggi e che si ricongiunge all'apice nel Figlio di Dio.
Ancora oggi, anche noi, possiamo rivivere questa stessa esperienza!

Riflettere sulla Parola (Meditare) 
vv. 13-14: Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?».
Siamo a Cesarea detta “di Filippo” (per distinguerla da "Cesarea marittima"), sulle pendici meridionali del Monte Ermon, presso una delle sorgenti del fiume Giordano, luogo importante per Gesù in quanto è uno dei vertici del mistero evangelico. Questa Cesarea era chiamata anche Paneas - oggi Banyas - per la sua prossimità al Panèion, cioè al santuario di Pan, il dio pagano della natura.
Siamo a una svolta del Vangelo e Gesù ha preso la decisione e darà il via al suo cammino doloroso, che lo porterà sula croce. Lui ha chiara la sua identità ma ha bisogno che anche i suoi la riconoscano e sceglie ancora una volta un luogo pagano.
È il tempo delle domande decisive per la fede dei discepoli in Lui, nella sua identità reale. Proprio una domanda simile era stata posta a Lui dai discepoli del Battista (Mt 11,2-3). Gesù aveva rimandato allora alle opere messianiche ed alla beatitudine di chi non avrebbe subito scandalo da Lui (cfr. Mt 11,6).
L’espressione greca “il Figlio dell'uomo”, traduce due espressioni diverse fra loro di significato. La prima (bar-adam) indica l'uomo in quanto creatura, debole; la seconda (bar nash) indica il principe ereditario e colui che è cittadino di pieno diritto, libero. Con Daniele quest'ultima espressione passò ad indicare il capo del popolo di Dio, diventando così un titolo specificatamente messianico (cfr. Dn 7,9-10).
Ora Gesù chiede: l’umano che io incarno, la gente che ne dice, a chi somiglia? È un interrogatorio trepidante per capire qualcosa di Colui che ha fatto il primo passo, che ha amato per primo (cfr. 1Gv 4,19); se l’amore di Dio è entrato nei cuori.
Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».
Le risposte di diversa provenienza sono varie, vaghe, di diversa prospettiva. Partono dal basso citando personaggi biblici che hanno avuto una funzione liberatrice a favore del popolo. Risposte tipiche di brave persone religiose che si rifanno a un sapere antico: Gesù assomiglia a Giovanni il Battista, perché Gesù non si piega come le canne sbattute dal vento (cfr. Mt 11,7); assomiglia a Geremia che ha contestato i riti al tempio la cui adesione a Dio non parte dal cuore (cfr. Ger 7,1-20); poi assomiglia ad Elia colui che ha rifiutato ogni compromesso con gli idoli. 
Nelle varie risposte abbiamo catalogato Gesù, è schedato con delle risposte esatte che si avvicinano alla sua vera identità. Però il modo di stare davanti al Signore può dare la giusta risposta. Occorre fare il passaggio dal sapere al vero incontro.
v. 15: Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Il nostro rapporto con Gesù inizia con questo rivolgersi di Gesù direttamente ai discepoli: «voi». “Dopo 16 capitoli” Gesù cambia gioco e pone una domanda diretta. Questa domanda, accompagnata dalla particella «ma» supera ogni sapere umano, culturale. È una domanda che ti mette in gioco, dove riscoprire il senso della fede. Una domanda fondamentale della fede cristiana che si fa relazione con Gesù. È una domanda per l’uomo maturo e ognuno da la sua risposta; ognuno matura l’amore che Dio gli ha versato nel cuore. È un amore che si fa “consegna”, perché Gesù si “consegna” e chiede di riconoscerlo attraverso una “consegna” di lui a noi.
Qui troviamo il senso della fede che non si basa su uno schedario storico ma sulla propria maturazione, su cosa significa Lui per me, per la mia vita.
v. 16: Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
La risposta non è data da tutti. Ognuno darà la sua. Intanto la da Pietro. Egli fa due tipi di confessione in una sola risposta, che possiamo dividere in due parti. La prima: “Tu sei il Cristo”. Pietro riconosce in Gesù quel compimento di Dio, la speranza, l’atteso, il Messia, la salvezza. Secondo aspetto della risposta supera la prima parte: “Tu sei Dio stesso” (la caratteristica di “vivente” è propria di Dio) che si dona all’uomo.
Questo è Gesù per Pietro. Questa è la fede di Pietro e la fede della Chiesa, che non è solo un’affermazione dogmatica, è qualcosa di molto di più. Solo nella relazione con Lui si può capire questo, si può capire che Gesù è il Cristo il Figlio di Dio, è il mio Signore, l’atteso. È la mia speranza, la mia salvezza, tutto.
Questa confessione di Pietro non è nuova. Prima, dopo aver camminato sulle acque, gli altri discepoli avevano già fatto la stessa professione di fede: “Veramente, tu sei il figlio di Dio!” (Mt 14,33).
Nel Vangelo di Giovanni, questa stessa professione di Pietro la fa Marta: “Tu sei il Cristo, il figlio di Dio venuto nel mondo!” (Gv 11,27).
La confessione di fede comporta un cambiamento di mentalità e l’impegno della sequela. Il riconoscimento di Gesù Messia non è un impegno verbale, ma accoglienza del Messia servo sofferente, che attraverso la croce realizza la volontà del Padre. Chi pronuncia il credo con le labbra chiama in causa la propria vita, si compromette con la croce. Credere non è una convinzione religiosa ma è partecipazione della vita di Gesù, del suo stile, della sua obbedienza filiale al Padre. Non vi può essere confessione autentica di fede senza un autentico coinvolgimento di se stessi e della propria vita.
v. 17: E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.
Gesù proclama Simone “Beato!” perché non può giungere da solo, con i suoi soli sforzi umani a riconoscere in Gesù il Messia, la realizzazione piena del regno di Dio, di Dio stesso che regna, è una rivelazione da parte del Padre. Per questo gli dice “beato” perché possiede la somma di tutte le beatitudini. 
Nei capitoli precedenti è contenuta già questa risposta. Gesù aveva fatto un’identica proclamazione di felicità ai discepoli per aver visto e udito cose che prima nessuno sapeva (Mt 13,16), ed aveva lodato il Padre per aver rivelato il Figlio ai piccoli e non ai sapienti (Mt 11,25). Simone è uno di questi piccoli a cui il Padre si rivela. E di questa conoscenza Pietro ne è partecipe.
vv. 18-19: E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 
Alla fede di Simone, figlio di Giona, Gesù consegna un nome nuovo che è «Chephas», che vuol dire «Pietra», un segno classico dell’Antico Testamento per indicare la fiducia che solo Dio può dare in modo incrollabile: «Ti amo, Signore, mia forza, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mia rupe in cui mi rifugio» (Sal 18,1-2). Per questo, è chiamato Pietro.
Nel Nuovo Testamento la pietra fondante è un simbolo applicato solo a Cristo e a Pietro. Gesù sta costruendo la chiesa, e certo sarà lui “la pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio” (1Pt 2,4), ma di questa costruzione Pietro è la prima pietra, cioè, deve essere fondamento sicuro per la Chiesa e parteciperà per grazia alla saldezza della Roccia che è Dio (cfr. Sal 17,3.32; 18,15; 27,1, ecc.).
La Chiesa appartiene a Cristo, la Roccia su cui fonda la sua chiesa. E poi se ne sottolinea la perenne stabilità: la Chiesa è come una casa costruita sulla roccia, anche se poggia apparentemente sulla fragilità degli uomini: “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. Una stabilità sicura, ma tormentata. Il destino della Chiesa è come quello di Gesù: un cammino tra le contraddizioni.
A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.
Sono le promesse di Gesù a Pietro. Egli riceve le chiavi del Regno per legare e sciogliere, cioè, per riconciliare le persone tra di loro e con Dio. 
Il simbolo delle chiavi nella tradizione biblica indica autorità e responsabilità. La frase riecheggia Is 22,22  dove Sebna riceve le chiavi del palazzo reale (cfr. Ap 3,7). 
Il significato delle chiavi, secondo le parole di Gesù, qui indicano il potere di legare e sciogliere. La metafora rabbinica contiene un linguaggio giuridico (ciò che è proibito o permesso). Contiene anche un linguaggio teologico in riferimento alla dottrina, al disegno di Dio manifestato attraverso le Scritture. A Pietro è affidata la dottrina, la Torà come spiegata da Gesù, quella “giustizia più grande” (cfr. Mt 5,17-20) che lui esigeva, con cui dovrà insegnare e guidare, trasmettere e spiegare con autorità nella comunità. Lo stesso potere verrà dato anche alla comunità dei discepoli ma subordinati a colui che è “pietra” (cfr. Mt 18,18).
Il potere delle chiavi, tuttavia, è strettamente legato alla croce. A Pietro è consegnato lo stesso potere che ha esercitato Gesù in terra, il potere della croce, il potere di offrire la sua vita: è il servizio nella fede, nella verità, nell'amore, nella carità, nell'unione. Questo resta ed è il fondamento della Chiesa.
La promessa fatta a Pietro si concretizza dopo la risurrezione con il mandato di pascere il gregge (Gv 21,15s).
v. 20: Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Il versetto è significato e la sua importanza si capirà meglio nei vv. 21-28. Gesù impone il silenzio sul fatto che è il Messia poiché la sua "ora" deve ancora giungere. Nel frattempo, c’è una idea del Messia che bisogna ancora purificare. Egli non è il Messia degli uomini, cioè quello che conquisterà con le armi il potere a Gerusalemme, sconfiggerà i romani e inaugurerà il regno di Israele ma l’Unto del Signore! Gesù è l'inviato del Signore ma non con quei metodi che la gente si aspetta, metodi che creano solo confusione tra la povera gente. Sarà compito della comunità cristiana «prendere per mano» gli uomini ed accompagnarli in questo percorso di progressiva scoperta del Signore.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
Sono ancora in cerca di idoli o mi basta il Dio vivente?
Chi è per me il “Figlio dell’uomo” Gesù? Ho mai valutato criticamente le idee che mi faccio di Lui? 
Accetto l’autorità della Chiesa che mi fa crescere? O mi chiudo, mi difendo, contesto solamente?
Sono pronto a intraprendere il cammino della croce con Gesù?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.
 
Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.
 
Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani. (Sal 137).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
“Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio. Cristo non è le mie parole, ma ciò che di Lui arde in me” (Ermes Ronchi).