martedì 12 gennaio 2021

LECTIO: II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno B

Lectio divina su Gv 1,35-42
 
 
Invocare
O Dio, che riveli i segni della tua presenza nella Chiesa, nella liturgia e nei fratelli, fa’ che non lasciamo cadere a vuoto nessuna tua parola, per riconoscere il tuo progetto di salvezza e divenire apostoli e profeti del tuo regno. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36 e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». 37 E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38 Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?». 39 Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41 Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo – 42 e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» - che significa Pietro.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Partendo dal luogo del Battesimo di Gesù, riprendiamo le parole del Battista che fanno riferimento al Messia (richiamandosi alla profezia sul Servo di Dio, testo di Isaia) la chiamata dei primi discepoli, che lo riconoscono Messia e Figlio di Dio e le nozze a Cana di Galilea, luogo in cui si rivelò la "gloria" di Gesù.
Il quarto vangelo inizia il suo racconto presentando la settimana inaugurale della vita pubblica di Gesù (cfr. Gv 1,19-2,12), quei giorni nei quali Gesù ha incominciato ad apparire come un rhabbi. 
La scena è girata nell'arco di quattro giorni. Il primo giorno in cui una delegazione di sacerdoti viene da Gerusalemme nel deserto per interrogare Giovanni sulla sua identità (Gv 1,19-28); segue un secondo giorno (Gv 1,29-34) in cui il Battista indica il suo discepolo come “Servo” oppure “Agnello di Dio” (l’aramaico talja’ può rivestire entrambi questi significati). Il terzo giorno – quello narrato dal brano evangelico odierno – Giovanni indica Gesù a due suoi discepoli, Andrea e il discepolo amato, invitandoli a seguirlo. Il quarto giorno è Gesù stesso a chiamare dietro a sé altri due discepoli, Filippo e Natanaele (cfr. Gv 1,43-51).
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 35: Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli.
Guardando attentamente il cap. 1, siamo al “terzo giorno” e ci troviamo ancora sulle rive del Giordano, sul luogo del battesimo, il luogo dell’Epifania della Trinità di Dio. “Il giorno dopo” è il giorno che il Battista ha reso testimonianza innanzi ai suoi discepoli. Questa volta è insieme a due discepoli, nel medesimo luogo.
Giovanni è lì in attesa della Verità. È sempre alla ricerca e sempre pronto a lasciare ciò che è stato fino adesso. Il verbo al passato, stava, ne segna il tempo.
v. 36: e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!».
Il versetto parla ancora di testimonianza. Il Battista, vedendo Gesù che cammina poco distante da là, ripete le stesse parole del giorno precedente (Gv 1,29; Is 53; Es 12; Gv 19,36; Ap 5,6.12), indica Gesù ai suoi discepoli. 
L’indicazione è preceduta da un verbo: fissare (emblépsas) che va oltre al semplice guardare con attenzione, fissare, indica l'atto di guardare dentro, quasi penetrando nell'intimo dell'animo dell'osservato.
Il Battista non fa altro che contemplare il passaggio di Gesù nella sua vita che non è un passare qualunque, di un Gesù frettoloso. È il passaggio di Colui che viene, che cerca l’uomo, che cerca i suoi discepoli. I Padri avevano compreso che il passaggio di Gesù è una vocazione. Sant’Agostino aveva terrore di ciò: «Io ho paura di Gesù che passa e non ritorna».
La contemplazione del Battista si concretizza nel dire solennemente ciò che ha contemplato: “ecco l’Agnello di Dio”. Giovanni toglie il velo e mostra, svela la verità: getta fuori quanto ha contemplato. La sua testimonianza parte da quel “dire” e prepara la vocazione dei suoi due discepoli nel seguire Gesù come il Servo sofferente.
v. 37: E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Il versetto contiene il vocabolo della vocazione: “ascolta”, che già è contenuto nella tradizione della fede del popolo ebraico: shemà. Qui in greco suona kousan. Tale vocabolo indica non soltanto la percezione del suono materiale delle parole, ma la comprensione del significato, come dimostrerà il contegno immediato dei due discepoli.
L’Evangelista annota un altro termine importante: seguirono, verbo che indica il movimento concreto ma anche la sequela di Gesù (tema spesso ripreso dai quattro vangeli) e il cammino verso il compimento delle promesse di salvezza.
Seguire Gesù significa seguire il Pastore della vita (cfr. Sal 23). Ascoltando il Vangelo, noi troviamo quel modello che vuol renderci liberi dai modelli di menzogna, che ci tolgono la nostra umanità (cfr. Sal 48).
v. 38: Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?».
La Parola mette in movimento. Gesù Parola del Padre è in movimento e rivolge una domanda: che cosa cercate? L’espressione letterale zēteîte indica sia cercare che volere, verbi che contengono in se un desiderio.
Cercare implica camminare, scavare, lavorare, lottare, riflettere, faticare. Il cercare è tipico dell’uomo che è fatto per un di più che non ha ancora, l’uomo cerca sempre di più, non è mai contento, è fatto per l’infinito, è desiderio, è il desiderio che cerca.
La domanda di Gesù mette in condizione di ricerca. La stessa domanda la ritroviamo all’inizio della passione di Gesù (18,4.7), e in un luogo di morte coperto dalla gloria della risurrezione quando Gesù risorto rivolge la domanda alla Maddalena (20,15). È una domanda importante che tende a scavare le intenzioni più intime. Ora il cercare non conduce facilmente a trovare (cfr. Ct 5,6). La ricerca consiste in un lasciarsi trovare. 
Gli risposero: «Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?».
I due rispondono con una domanda chiamando Gesù con un termine particolare: Rhabbi. Nell’ebraismo, un rhabbi è un maestro della Torah. Questa parola ha una sua radice, rav che significa “grande”, “venerato”. L’allievo che dice “Maestro mio” è il modo per relazionarsi con un maestro della Torah.  
Il termine viene usato anche per il Signore. Infatti la Maddalena presso il sepolcro riconosce il Risorto e piena d’amore dice: “Rabbouni!”, che significa «Signore mio!» (Gv 20,16). Dopo anche Tommaso acclamerà: «Signore mio e Dio mio!» (Gv 20,28).
Quindi, i discepoli alla domanda rispondono con un’altra: dove dimori? Il verbo abitare si ricollega al dimorare rimanere. L’evangelista Giovanni userà spesso questo termine.
Qui non si sta chiedendo l’indirizzo di casa ma il luogo teologico, l’ambiente esistenziale, l’identità stessa di Gesù. Il meneis vuole indicare quel dove rimani. Gesù sarà chiaro in questo quando parlerà sulla vera vite, sul “rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4). Quando i discepoli fatta l'esperienza di stare con lui lo accoglieranno nella loro vita, nel loro cuore, infatti, dimorare, rimanere in Lui significa condividere la sua stessa vita, la sua vita divina. Dimorare significa anche ascoltarlo. E attraverso la parola ascoltata noi stessi dimoriamo in Dio, perché noi diventiamo la parola che ascoltiamo, diventiamo il Figlio e così dimoriamo anche noi nel Padre. Dimorare in Lui significa anche seguirlo nel cammino della croce e della risurrezione.
v. 39: Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui
Ecco pronta la risposta di Gesù: “venite e vedrete”. Essa non è una vera e propria risposta ma un invito alla ricerca, a metterci in moto. È un’esperienza di vita che si fa interprete del desiderio dell’uomo, del desiderio di Dio. Abbiamo due verbi ma uniti tra loro che in Giovanni ha uno stretto contatto con il verbo credere (vedi Gv 6,37.44). Il primo verbo indica un movimento: se non ti muovi non lo saprai mai. Gesù ti indica un percorso da fare. Il secondo indica un vedere in profondità, un vedere la presenza divina nascosta nell'Altro, è entrare nel mistero di una persona, un vedere anche l’invisibile. Tant’è vero che in Giovanni la fede sarà vedere una visione, cioè si appaga solo nel vedere, è il vedere dell’illuminato, di chi ha capito la parola che c’è dentro ogni realtà, vede la realtà in modo diverso. I due verbi sono la sintesi dell’esperienza di tutto il Vangelo.
erano circa le quattro del pomeriggio.
L'evangelista vuole qui indicare un orario. È l’ora di uno sguardo indimenticabile. È l’ora di guardare e contemplare la bellezza del volto del fratello. È l’ora di sentirsi oggetto di uno sguardo d’amore.
Le quattro del pomeriggio è l’ora quando si smette il lavoro e si comincia a riposare, è l’ora finalmente del riposo, si dimora insieme, si riposa insieme, si gode del frutto del lavoro. È l’ora della condivisione dell’esperienza di Dio.
vv. 40-41: Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo -
Qui nasce una sorta di catena di contagio. Essa trasmette quel fuoco interiore, quella luce ricevuta dall’Agnello di Dio. Chi dimora in Dio, incontra il fratello. Ed ecco il primo nome: Andrea, fratello di Simon Pietro. Il verbo che accompagna è “udire” cioè un richiamo all’obbedienza. Questi saranno i primi a mettere in pratica, i primi ad ascoltare e seguire Gesù.
Andrea si reca dal fratello, l’annuncio viene fatto per contatto diretto, e lo conduce docilmente a Gesù. Il nome Simone significa “docile all’ascolto”. Egli sarà l’uomo che si farà condurre docilmente, sempre (cfr. At 2,1-4, e 13-36; 2,38; Gv 21,18-19).
Andrea ha capito chi è Gesù: il Messia, l’Agnello di Dio e lo professa. Essere cristiani significa essere messianici, coloro che instaurano il sogno di Dio.
v. 42: e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» - che significa Pietro.
Andrea conduce il fratello Simone da Gesù il quale lo accoglie. Fra i due c’è un incontro di sguardi, autentico. Gesù lo chiama per nome e gliene da’ uno nuovo: Ke'pà' che significa Roccia, Pietra, Pietro.
In Mt 16,18 abbiamo il commento esegetico sul nome. Origene scrive: "Gesù dice che egli si sarebbe chiamato Pietro, traendo questo nome dalla pietra che è Cristo, poiché come saggio viene da saggezza e santo da santità, così allo stesso modo Pietro dalla pietra".
L’evangelista Giovanni vuole dare un altro carattere: Pietro appartiene a Gesù che lo ha reso nuovo, lo sguardo l’ha plasmato secondo un disegno divino, al servizio dei fratelli. Sarà la Pietra su cui si scatenerà le forze degli inferi, ma non prevarranno.
Per noi, può avere un senso più profondo. Ognuno ha già un nome con il quale veniamo chiamati da tutti. Ci sta un secondo nome più profondo, che realizza la nostra verità, che solo Dio conosce e che noi dovremmo imparare a conoscere. È il cammino della verità che solo in Dio possiamo trovare, in colui che ci ama e ci dona la vita. Chi si mette in ricerca è disposto a lasciarsi “mutare”, “trasformare”, perché anche noi possiamo trasmettere amore ed energia con il nostro sguardo.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Ricordi l’ora in cui hai scoperto che Gesù passava nella tua vita?
Mi sono lasciato/a trasformare da questo incontro?
Ritrovo nella mia vita cristiana i verbi ascoltare, vedere, seguire che ancora oggi Gesù mi rivolge?
Oggi quel “Cosa cerchi?” è rivolta anche a me. Come rispondo?
Come rispondo al cammino della verità che solo in Dio posso trovare?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
 
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».
 
«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».
 
Ho annunciato la tua giustizia 
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra, 
Signore, tu lo sai. (Sal 39).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Rileggo con attenzione questa Parola e ripeto più volte l’incontro per far fiorire nella mia vita Colui che mi ama e mi dona la vita.