Lectio divina su Lc 20,27-38
O Dio, Padre della vita e autore della risurrezione, davanti a te anche i morti vivono; fa’ che la parola del tuo Figlio, seminata nei nostri cuori, germogli e fruttifichi in ogni opera buona, perché in vita e in morte siamo confermati nella speranza della gloria. Per Cristo nostro Signore. Amen.
27Gli si avvicinarono alcuni sadducei – i quali dicono che non c'è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello.
Ci stiamo avvicinando alla fine dell’anno liturgico e alla festa di Cristo Re dell’universo. I vangeli hanno come tema quello della resurrezione e della fine dei tempi. Il cap. 20 di Luca riunisce i conflitti che Gesù incontra a Gerusalemme. In 4,13 Satana abbandona Gesù fino al tempo opportuno; è giunto questo tempo, il momento decisivo in cui Satana (ossia, gli avversari) cercano di eliminare Gesù.
Con l’avvento di Cristo Gesù erano in pochi a credere nella risurrezione. Questi erano farisei che erano in seimila. Questo credo non parte dal presupposto filosofico dell’immortalità dell’anima, ma dall’esperienza della promessa e della potenza di Dio. Il suo amore dura in eterno e non può venire meno neanche davanti alla morte; deve vincerla e farci risorgere per mantenere la sua fedeltà a noi. Questa rivelazione, fondata nel Pentateuco, si sviluppa attraverso i profeti; la fede cristiana ha il suo inizio nella risurrezione di Gesù.
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 27a: Gli si avvicinarono alcuni sadducei – i quali dicono che non c'è risurrezione –
Gesù condannava il modo commerciale dei sadducei nel rapportarsi con Dio, mentre condivideva coi farisei e col popolo l’esistenza della risurrezione dei morti. Per questo motivo la setta dei sadducei si beffavano di lui, cercando di dimostrare, citando le Scritture, che la fede nella risurrezione è priva di senso. Ecco il motivo che troviamo nel v. 28 che riporta la legge del levirato (matrimonio fra cognati per dare una discendenza (cfr. Dt 25,5-10).
Ora i sadducei si avvicinano a Gesù; nel contesto il loro intento è polemico. La questione di una risurrezione era di attualità. Bisognerà infatti aspettare il II sec. a.C. (con i fatti narrati nei libri dei Maccabei), perché nasca la fede in una risurrezione personale.
vv. 27b-33: e gli posero questa domanda: Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna.
I sadducei ricordano l’istituto del levirato, previsto da Dt 25,5-10. Era una prassi comune ad altri popoli dell’Antico Oriente (Assiri, Ittiti) ed era poi entrata a far parte anche della legge di Israele. La troviamo applicata in Gen 38,8 e Rt 3,9; 4,12.
Alla base di questa legge si scorge il forte desiderio di sopravvivere nei figli e di dare una continuità alla famiglia e alla stirpe. Da notare l’importanza e la validità riconosciuta ad una genealogia legale: il figlio nato viene giuridicamente considerato il figlio del defunto, non del padre carnale.
I sadducei qui espongono un caso. Una storia raccontata in stile popolare. Alla fine, l'ansia umana diventa ansia divina quando Gesù afferma: «e saranno figli di Dio, perché sono figli della risurrezione». In Dio e nell'uomo urge lo stesso bisogno di dare la vita ai figli da amare.
La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie.
Nel testo il problema dell’avere e del prendere è la logica dell’egoismo, è già la logica della morte, la logica di Dio è un’altra, è quella di dare, è la logica dell’amore.
La fede nella risurrezione non è frutto del mio bisogno di esistere oltre la morte, ma racconta il bisogno di Dio di dare vita, di custodire vite all'ombra delle sue ali.
vv. 34-35: Gesù rispose loro: I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito.
Con questa risposta Gesù dà un insegnamento che denuncia la visione materiale della vita futura. Egli si serve di una distinzione assai giudaica (questo mondo qua – quel mondo là) per mettere in contrasto due condizioni di vita: nel mondo presente, il matrimonio è necessario per la sopravvivenza dell’umanità, perché l’uomo è mortale. Nel mondo futuro invece tale realtà non servirà più perché l’uomo avrà raggiunto l’immortalità, ma non inutile l'amore. Perché amare è la pienezza dell'uomo e la pienezza di Dio. Saranno come angeli.
Che significato dare alle parole “avere parte dell’altro mondo e alla risurrezione dei morti”? L’altro mondo e la risurrezione possono essere considerati due aspetti della stessa realtà, oppure possono affermare a una vita presso Dio subito dopo la morte e poi la risurrezione di tutti alla fine dei tempi.
v. 36: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Con questo versetto l’evangelista lega la fine dell’attività sessuale nell’aldilà con l’idea di immortalità e con l’affermazione dell’uguaglianza con gli angeli. L’immortalità (e non per esempio non avere il corpo) è dunque la caratteristica dell’essere come gli angeli: di qui la transitorietà del matrimonio. Il giudaismo non ignora il paragone tra gli eletti e gli angeli, stupisce che Gesù lo utilizzi nei confronti dei sadducei che non credevano nemmeno all’esistenza degli angeli.
Con queste parole: “Infatti non possono più morire”, Luca ricorda che i salvati non solo sono simili agli angeli, ma sono veramente figli di Dio, introdotti nella vita divina, grazie alla risurrezione. Partecipando alla risurrezione di Cristo gli uomini entrano in comunione con la filiazione divina di Cristo stesso.
Nella tradizione cristiana questo testo ha qualche volta provocato una certa svalutazione del matrimonio e della sessualità; si tendeva a identificare la vita di risurrezione con uno stato «angelico». Ma l’essere come gli angeli non significa che la natura dell’uomo viene trasformata in quella angelica. L’uomo risorto non è «disumanizzato».
Ciò che il versetto vuole dimostrare è il superamento del rapporto sessuale nel futuro escatologico, visto che l’uomo sarà immortale. L’argomentazione è a servizio dell’affermazione della risurrezione come novità radicale e non come una ripresa migliorata della vita terrena.
La mascolinità e la femminilità non si esauriscono nel matrimonio e quindi nella funzione puramente procreativa, ma esistono in vista della comunione delle persone: quest’ultima realtà, già possibile sulla terra, raggiungerà perfetto compimento e dinamicità nella vita di risurrezione.
vv. 37-38: Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe.
Gesù fa capire ai sadducei che della risurrezione ne parlava anche Mosè. Nel libro dell’Esodo il Signore si rivela a Mosè con queste parole: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe” (Es 3,6). Con questo appellativo esprime la convinzione che i patriarchi sono ancora vivi al di là della morte. Sarebbe blasfemo pensare che JHWH, l’eterno vivente e sorgente di ogni vita, sia «il Dio dei morti», perché, aggiunge Luca, «tutti vivono per lui», dove il “per” ha significato strumentale: in forza della vita che egli loro conferisce.
Riflettendo sulla morte di Gesù, nella lettera ai Romani, Paolo scrive: “Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù” (Rm 6,10).
Possiamo dire che Gesù fa vedere ai Sadducei che la fedeltà di Dio sia per il suo popolo, sia per il singolo, non si basa né sull’esistenza o meno di un regno politico (nel caso della fedeltà di Dio al popolo), e neanche sull’avere o meno prosperità e discendenza in questa vita. La speranza del vero credente non risiede in queste cose del mondo, ma nel Dio vivente. Per questo i discepoli di Gesù sono chiamati a vivere come figli della risurrezione, cioè, figli della vita in Dio, come il loro Maestro e Signore, “essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna” (1Pt 1,23).
La risurrezione dei morti è strettamente legata al fatto che Dio non sia il Dio dei morti ma dei vivi. Dio vive: allora la vita e la risurrezione dei morti non è essenzialmente un ritorno alla vita, ma è una vita in Dio. La risurrezione dei morti non è la rianimazione di un corpo che se ne è andato, ma è la vita in Lui.
Il messaggio che Gesù ci offre sulla "vita del mondo che verrà" desta interesse dentro di me?
Quale reazione suscita? Indifferenza, speranza, impegno a vivere più perfettamente l'amore, che sarà il contenuto della vita futura?
Quali idee mi sono fatto/a a riguardo della vita dopo la morte?
Mi sento figlio/figlia della risurrezione? Che significa per me vivere la risurrezione già dal momento presente?
Oggi quali sono le tentazioni e le persecuzioni che prova la mia fede?
Riesco a vivere il mio essere uomo/ il mio essere donna come possibilità di incontro e di comunione con l’altro/altra e con gli altri?
Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno.
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole.
all’ombra delle tue ali nascondimi,
io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine. (Sal 16).
Lasciamo che la forza dello Spirito Santo entri nella nostra vita. Lasciamoci amare per amare non solo in questa vita ma anche nell’altra e ripetiamo al nostro cuore “Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi”.