martedì 31 gennaio 2023

LECTIO: V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno A)

Lectio divina su Mt 5,13-16
 
 
Invocare
O Dio, che nella follia della croce manifesti quanto è distante la tua sapienza dalla logica del mondo, donaci il vero spirito del Vangelo, perché ardenti nella fede e instancabili nella carità diventiamo luce e sale della terra. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
13 «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
14 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15 né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
 
Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio
 
Dentro il Testo
Siamo ancora nel grande «discorso della montagna» e il Signore, dopo aver proclamato le beatitudini, prosegue nel descrivere il DNA di ogni cristiano usando due appellativi: «sale della terra» e «luce del mondo».
La difficoltà del simbolismo del sale è un primo ostacolo alla giusta comprensione del detto di Gesù; le esperienze di ognuno possono far variare l'opinione che si ha di questo minerale. Prima dell'avvento del frigorifero il sale era considerato un ottimo conservante; è usato per dare sapore ai cibi; gli antichi contadini e nomadi palestinesi nelle vicinanze del mar Morto lo usavano per riscaldarsi a causa della sua combinazione col bitume; per noi moderni (ma già per gli antichi, Esdra (4,14) chiama i funzionari persiani «coloro che mangiano il sale della reggia») indica lo strumento economico della sopravvivenza, «il salario»; molto noto il riferimento del «sale della sapienza», un rito che si era introdotto nel battesimo proveniente dalla superstizione della cultura dei barbari del primo medioevo, ma del tutto sconosciuto al complesso delle Chiese antiche.
Il testo del vangelo mette in evidenza che la continuità e la visibilità di chi opera per il regno di Dio sono ben sottolineate dalle immagini del sale e della lucerna, che non possono mai venir meno alla loro funzione (dare sapore e fare luce). Gesù, dunque, affida un compito ai discepoli: la terra ha bisogno di sapore e luce e io oggi vi costituisco come “sale e luce della terra”!
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 13: Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Nei precedenti versetti avevamo le beatitudini che si concludevano con la persecuzione e la ricompensa che avrebbero ottenuto quanti sarebbero stati investiti da tale persecuzione. Ora con delle immagini Gesù fa capire chiaramente, partendo sempre da Lui, quali sono le caratteristiche del discepolo.
Anzitutto l’immagine del sale, al quale si associano diverse funzioni: dà sapore e conserva i cibi e nei sacrifici antichi si utilizzava allo scopo di purificare la vittima offerta (cfr. Lv 2,13). Nell’Antico Testamento il sale per le sue proprietà di conservazione era simbolo dei valori duraturi (Nm 18,19; 2Cr 13,5).
Chi è qui per noi il sale? È Gesù stesso il sale perché Egli è il sapore di Dio che contrasta il sapore del mondo. Guardando ai suoi discepoli, a quanti vogliono seguirlo Gesù li definisce come «il sale per la terra», destinato ad esercitare una funzione sulla terra, sugli uomini. Nello stesso tempo da’ un monito a mantenere e dare sapore, a non essere scadenti o già scaduti per non rischiare di essere insignificanti per tutti. Come Gesù siamo chiamati ad essere sapore di Dio nella quotidianità.
L’evangelista Marco ci aiuta a comprendere questa funzione cristiana: «Ognuno, infatti, sarà salato con il fuoco. Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri» (9,49-50).  
La triplice insistenza sul sale, e la precisazione di «salare con sale» mostra che il sacrificio d'offerta, «memoriale sull'altare, sacrificio di aroma soave al Signore» (Lv 2,2b), il santo dei santi tra i sacrifici del Signore (Lv 2,3b), deve essere preparato compiutamente, ben condito e ben cotto, per essere vero sacrificio a cui si partecipa prima spiritualmente, e poi nel convito come segno di comunione.
Ogni discepolo deve prepararsi ad essere, con il Signore, questo sacrificio di aroma soave per il Dio dell'alleanza, redenzione della terra e comunione tra gli uomini. Se il sale non esplica tale funzione sacrificale, non avrà nessuna rivalutazione «da fuori». Occorre avere questo sale sacrificale dentro il cuore, ed allora il sacrificio spirituale sarà pace sulla terra.
C’è quindi una dimensione di responsabilità e consapevolezza vocazionale nella vita del credente. Egli deve misurare la sua vita, il senso delle cose che fa, non solo in riferimento a sé, ma in riferimento al mondo intero con gli occhi di Dio.
vv. 14-15: Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.
Oltre l’immagine del sale, Gesù si serve anche dell’immagine della luce, tema molto presente nei testi del Nuovo Testamento in riferimento a Gesù. Se ricordiamo in Mt 4,12-17 Egli era stato indicato come la grande luce che rischiara le terre di Zabulon e Neftali. Anche l’Antico Testamento ha il suo riferimento in particolare nel profeta Isaia: «Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore» (2,5).
In Is 42,6; 49,6 Israele è chiamato ad essere una «luce per le nazioni». Paolo riprende questo tema della vocazione di Israele in Rm 2,19 («luce di coloro che sono nelle tenebre») e dirà che i cristiani devo splendere come astri nel mondo (Fil 2,15) e che sono luce nel Signore, dopo essere stati tratti dalle tenebre (Ef 5,8).
Anche qui: chi è la luce? Gesù è la luce: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». (Gv 8,12) e noi lo professiamo dicendo del Figlio “luce da luce”. Nel salmo 36 viene espresso per noi che «nella sua luce vediamo la luce». Gesù è la luce. Allora noi battezzati in lui, tuffati in lui, veniamo illuminati per riflettere tale luce su quanti incontreremo nel nostro cammino.
Allora le parole di Gesù per noi «Voi siete la luce del mondo» come possiamo intenderle? Siamo luce del mondo non perché produciamo una qualche luce ma perché siamo illuminati da Gesù. Quindi ogni discepolo è luce con tutta la sua povertà e debolezza. Egli è colui che deve essere in grado di trasmettere una luce autentica che permetta al mondo di orientarsi e dirigersi. Se la nostra vita è stata illuminata ciò non è solo in vista di noi e del nostro cammino, ma in vista del cammino di tutti: illuminati dalla luce che è Gesù dobbiamo a nostra volta diventare luce per gli altri.
Cambiando prospettiva, il discepolo qui viene definito una lampada (cfr. Gv 5,35) poiché la luce è Cristo e da lui riceve la luce. Per far capire questo, Gesù usa il paragone del moggio (recipiente per misurare il grano, usato anche come mensola). La luce è posta in alto affinché risplenda in tutta la casa (cfr. Mc 4,21; Lc 8,16; 11,33).
Questa espressione è facilmente comprensibile se facciamo riferimento alle usanze del tempo di Gesù: la fiamma allora si otteneva dai grassi, e spegnere con un soffio una di quelle lampade voleva dire riempire la stanza d'un puzzo insopportabile. Per questo si usava mettere un moggio o un altro recipiente che fosse a portata di mano sulla fiamma, ottenendo che si spegnesse per mancanza di ossigeno senza mandare cattivo odore.
Cristo dice semplicemente che la luce non dev'essere spenta, perché illumini sempre. Deve essere come il faro posto nelle vicinanze del porto che illumina la rotta.
v. 16: Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.
Il versetto finale di questa pericope racchiude le motivazioni che il Signore dà di questa funzione: tale luce deve sfolgorare davanti agli uomini come esempio efficace (cfr. Rm 14,18; Fil 2,15; Fm 6; Ef 5,8-9; 1 Pt 2,12).
I discepoli non vivono per sé, autosufficienti, in un angolo del mondo, bensì in pubblico, visibili e accessibili agli uomini.
Il testo presuppone una trasformazione della vita cristiana che possa essere in grado di essere testimoni in mezzo la gente. I discepoli come figli portano così altri figli al Padre, ma seguendo sempre il Figlio Unico. Un vangelo vissuto si esplica nella collettività. Tutto ciò che riguarda la terra, riguarda innanzitutto la coerenza con cui i cristiani vivono la loro presenza nel mondo; ogni terra deve poter contare sul sapore dei discepoli, sul sapore della Chiesa. I discepoli, la Chiesa sono visibili, non nascosti.
Riprendendo il pensiero della luce messa in alto, sul candelabro, perché illumini tutta la casa in riferimento alla nostra vita, abbiamo un invito a volgere lo sguardo verso l’alto della croce perché possiamo essere illuminati, radiati da quella luce, che è la stessa luce di Dio che si espande, in particolare quelle volte che la nostra vita è offuscata dal male o da altre situazioni. Ma questa luce non si ferma in noi deve essere irradiata. In Mt 7,17 viene detto che “l’albero buono fa dei frutti buoni”. Sappiamo benissimo che l’albero buono è l’albero della croce. Appesi a questo Albero anche noi possiamo essere quel sapore di Dio, quella luce di Dio.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Quale riflesso di Dio la mia vita fa vedere?
Cosa significa per me essere “sale”, “luce” nella quotidianità?
Sono il sapore e la luce di Dio nella mia ferialità?
Quale senso delle cose, di Dio Amore faccio assaporare a quanti incontro?
Sono davvero capace di opere di bene?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole
(Pregare)
Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti:
misericordioso, pietoso e giusto.
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.
 
Egli non vacillerà in eterno:
eterno sarà il ricordo del giusto.
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.
 
Sicuro è il suo cuore, non teme,
egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua fronte s’innalza nella gloria. (Sal 111)
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Il cristiano non è invitato a cercare successo, ma a vivere il suo essere tale. Deve essere sale e luce, vivere le opere buone indicate dalle beatitudini, a vivere le opere di misericordia, aiutando le persone a glorificare Dio Padre.