martedì 30 luglio 2024

LECTIO: XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno B)

Lectio divina su Gv 6,24-35
 

Invocare
O Dio, che affidi al lavoro dell’uomo le immense risorse del creato, fa’ che non manchi mai il pane sulla mensa di ciascuno dei tuoi figli, e risveglia in noi il desiderio della tua parola, perché possiamo saziare la fame di verità che hai posto nel nostro cuore. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». 30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Con “la domenica della moltiplicazione dei pani”, è iniziato il grande discorso del pane di vita, che ci accompagnerà per alcune domeniche. L’evento-segno dei pani è qui richiamato per essere successivamente discusso nel suo significato fino al v. 65.
La folla, messa in moto dalla straordinarietà del fatto e per il pasto abbondante che ha ricevuto, si mette alla ricerca di Gesù. Ha visto e goduto di un miracolo, ma non è stata in grado di cogliere la portata vera, ciò che sta sotto quel segno. Per questo Gesù invita la folla ad uscire dall’unica preoccupazione del cibo materiale. Bisogna darsi pensiero anche per procurarsi il cibo che non perisce, che pure richiede fatica, quel cibo che “permane in vita eterna”. L’unico che può donare questo cibo, che non solo “dura in vita eterna”, ma produce già ora vita eterna, è il Figlio dell’uomo, perché Dio Padre lo ha mandato per questo scopo e a tale scopo ne ha consacrato la missione. E l’unica opera con la quale l’uomo può guadagnarsi quel cibo è credere in colui che egli ha mandato. La fede è insieme opera di Dio e dell’uomo.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 24: Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù.
Questo versetto vuole riallacciarsi a quanto abbiamo ascoltato domenica scorsa (Gv 6,1-15). Qui, di seguito, saltando i versetti in cui Gesù raggiunge i discepoli durante la notte camminando sulle acque, ritroviamo la “folla” che si accorge dell'assenza di Gesù e che va in cerca di Lui verso Cafarnao.
La “folla” giovannea non è molto dissimile da quella d’Israele nel deserto che, pur vedendo i prodigi non comprende e pensa di utilizzare Dio per i suoi scopi. Possiamo dire che è l’equivoco di sempre: l’uomo è alla ricerca di Dio perché in fondo pensa che sia una facile assicurazione sulla vita.
Quest' “equivoco” è una delle costanti del vangelo di Giovanni, che sottolinea a più riprese la negatività di quest’atteggiamento che in fondo rivela il limite costitutivo dell’uomo non ancora rinato “dall’acqua e dallo Spirito” (cfr. Gv 3,5), cioè colui che ancora non vive l’incontro di grazia col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo nella propria esistenza, che cammina in novità di vita.
vv. 25-26: Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
L’Evangelista sottolinea che lo trovarono “Di là dal mare”. È una espressione dal significato forte, il mare è comunque difficile da attraversare, si cerca qualcosa di importante e pur di trovarla si va al di là del mare.
La folla, ritrovando il Maestro, subito desidera appagare la curiosità. L'atteggiamento di queste persone verso Gesù è analogo a quello di Nicodemo (cfr. Gv 3,1ss). Si rivolgono a lui con un titolo rispettoso: Rabbì/Signore/Maestro.
Perché la folla lo cerca? Che cosa si aspetta? Chi desidera? Quale attesa vuole colmare? Qual è il motivo per cui si sono messi sulle tracce di Gesù? La folla continua a considerarlo il profeta-maestro (6,14). Non si spiega come mai Gesù si trovi su questa sponda del lago.
Così dice il testo sapienziale di Proverbi a questo proposito: «Donna irrequieta è follia, una sciocca che non sa nulla. Sta seduta alla porta di casa, su un trono, in un luogo alto della città, per invitare i passanti che vanno diritti per la loro strada: "Chi è inesperto venga qua!". E a chi è privo di senno essa dice: "Le acque furtive sono dolci, il pane preso di nascosto è gustoso". Egli non si accorge che là ci sono le ombre e che i suoi invitati se ne vanno nel profondo degli inferi» (Pro 9,13-18).
Per questo, occorre saper vigilare e andare nel profondo del cuore, per vedere cosa veramente stiamo cercando.
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati.
Gesù non si lascia intrappolare tanto facilmente, infatti non risponde alla domanda, ma alle parole della folla dà un rimprovero perché in essi non c’è il desiderio dell’incontro. Gesù fa una lettura profetica: mette in relazione la ricerca che si fa di lui con la ricerca di chi vive nell’idolatria. Paolo rimprovererà, nelle sue lettere, coloro che hanno per Dio il loro ventre (Fil 3,19). Questa idolatria si contrappone al vero culto gradito a Dio, perché idolatria è anche servirci di Dio per il nostro interesse. Gesù in fondo ci dice: voi fate di me un idolo, perché ciò che a voi preme è l’essere saziati.
La nostra fede è legata a dei segni, non è legata alla sazietà. Un popolo sazio rischia di diventare anche un popolo idolatra, tanto è vero che si può avere con Gesù un rapporto da idolatri. Il vangelo, domenica scorsa diceva: “Gesù, saputo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna tutto solo”.
Tutto il vangelo di Giovanni è un cammino di ricerca di Gesù. All’inizio, Gesù domanda: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38) e, poi, questa domanda percorre tutto il vangelo, fino al Getsemani: «Chi cercate?» (Gv 18,4.7) e alla risurrezione: «Donna, chi cerchi?» (Gv 20,15).
La modalità della folla è idolatra. Gesù ci invita a vedere in lui “il segno”. Egli adotta il segno del pane per dire che lui è la presenza del Padre.
v. 27: Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Il versetto inizia così: “Datevi da fare”, ergazomài che significa anche "lavorare". Il cibo è offerto, ma si richiede anche uno sforzo per procurarselo: bisogna letteralmente “lavorare” per ottenerlo. È l’idea contenuta in questo verbo che provoca nella gente la seconda domanda: quale lavoro s’ha da fare, quali sono le opere di Dio da compiere? La risposta di Gesù è sorprendente, almeno all’apparenza: il lavoro è “credere in colui che Dio ha mandato”.
Il Cristo biasima la loro ricerca affannosa per il cibo che perisce, ossia per il pane che sfama il corpo, e li esorta a cercare il cibo che dura per la vita eterna. Questo cibo dev'essere qualcosa che assomiglia all'acqua viva che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14). Si tratta quindi della rivelazione del Verbo incarnato, assimilata con una vita di fede profondissima che conduce alla vita eterna. Per questo il Padre ha posto su di lui “il sigillo”. Cioè, lo ha contrassegnato con un "marchio" speciale quando nel Battesimo al Giordano lo Spirito è sceso su di Lui (Gv 1,32-34). Gesù ha rivelato la sua relazione unica con Dio, che lo rende in grado di donare il cibo imperituro e divino. Ha esortato a "procurarsi" tale cibo, cioè a darsi da fare con ogni cura pur di avere tale dono.
vv. 28-29: Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?».
La folla fa una domanda che riscontriamo nei Sinottici (Mt 19,17; Mc 10,17; Lc 18,18). È la domanda dell'uomo che si avvicina a Gesù. Questo suo avvicinarsi a Lui manifesta che egli cercava qualcosa, una risposta alle sue domande più vere Egli la cerca da Gesù, e chiede una risposta da Lui. La sua richiesta è precisa e allo stesso tempo autentica: “Che cosa devo fare?”. La sua è una domanda che indica un cuore sincero alla ricerca del bene nella propria vita.
Gesù ha detto "adoperatevi" e quindi gli ebrei gli chiedono quali opere devono compiere per ottenere quel cibo di vita eterna. Questa impostazione è tipica della mentalità giudaica. Quando la mentalità ebraica sente parlare di Dio pensa subito all'osservanza della legge, pensa che Gesù voglia aggiungere qualche ulteriore precisazione alla legge in qualità di profeta degli ultimi tempi. Gesù si oppone a questa mentalità e presenta necessaria per il possesso del regno di Dio una sola opera: la fede nella sua persona.
Noi non siamo abituati a pensare che la fede sia un “lavoro”: forse è ora di incominciare a pensare che lo è. Non si tratta tanto di rivedere il nostro concetto di lavoro, ma piuttosto di ripensare cosa comporti il credere. Il meno che si possa dire è che, se la fede può essere paragonata a un lavoro, non può essere concepita solo come un’operazione intellettuale, ma è azione e gesto che coinvolge il cuore e la volontà e implica la vita nella sua pienezza.
Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Il fare l’opera di Dio è credere in colui che Egli ha mandato. L’opera è di Dio e la si coglie in Gesù. E Gesù è presentato essenzialmente come colui che il Padre ha mandato. È opera di Dio l’invio del Figlio ed è opera di Dio il credere nell’invio del Figlio; allora la nostra fede viene a coincidere e trova la sua unità in questa opera di Dio. Noi siamo uno con il Figlio perché lui è stato mandato e perché noi crediamo in lui. La nostra fede ci porta a saperci uno con colui che è stato inviato, Gesù. Il nostro credere è comunione con lui.
v. 30: Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai?
La gente chiede un segno di autenticità perché si possa operare il primo passaggio, quello che conduce dal vedere al credere, tipico di una esperienza religiosa. Ma questo tipo di esperienza è rifiutata da Gesù, anche se, in effetti, Gesù il segno l’aveva già dato, ma la gente non l’aveva visto.
Ricordiamo che per Giovanni il segno è il modo per poter vedere la Gloria attraverso la carne. La richiesta è anche motivata: si chiede a Gesù che faccia almeno come Mosè e che, come lui aveva fornito la manna per diversi giorni, così anche lui torni a fornire il pane.
Gesù non mostra un segno da vedere per credere, ma al contrario dice “credi, e tu stesso diventerai un segno che gli altri possono vedere”.
vv. 31-33: I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
La gente si rifà ai padri e non al Padre come la Samaritana si rifece a Giacobbe e i Giudei in seguito ad Abramo. Essi ricordano la loro esperienza nel deserto ed ebbero il grande “segno” della manna per 40 anni (cfr. Es 16,15; Num 11,7-9), e i loro figli ne hanno la conferma dalle Scritture: «Pane dal cielo donò ad essi da mangiare» (Gv 6,31).
La manna, che aveva nutrito quotidianamente gli Ebrei nel deserto, non era dono di Mosè e neppure era "il pane dal cielo". Era un cibo passeggero, che prefigurava un altro pane, quello vero e genuino. Gesù vuole distogliere l'attenzione dei Galilei dalla manna e orientarla a questo nuovo pane che ora il Padre dà. Vuole destarne il desiderio e l'attesa. Qual è questo pane? "Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo". Il pane che viene da Dio, che è dono di Dio ed è pieno della sua forza, è una persona, è "colui che discende dal cielo (= da Dio)", cioè Gesù stesso. Il pane celeste, identificato con Gesù, dà (attualmente) la vita (la vita di Dio). Come il pane terreno sostiene e alimenta la vita terrena, così il pane celeste, che è Gesù, comunica la vita divina.
Nel pensiero del tardo giudaismo, Mosè è stato il primo “redentore”, il secondo sarà il Messia. Come Mosè ha liberato gli Israeliti dal Faraone, così il Messia libererà i Giudei dalla schiavitù dei popoli pagani che li opprimono (cfr. Ap 15,3).
Gesù parte dalla similitudine stabilita dalla gente, ma per reinterpretarne il senso. Dio, e non Mosè, ha fatto cadere la manna; ora è ancora lui che dà il pane, non quello che perisce, ma quello che viene dal cielo, che “dà la vita al mondo”. Il pane della vita è lo stesso Gesù.
Ormai nel segno del pane a noi è dato di vivere pienamente il mistero della incarnazione, il mistero della condiscendenza di Dio nei confronti degli uomini. Non c’è niente di più condividente con gli uomini che il segno che Gesù sceglie per mostrarsi come il discendente, il mandato, cioè il segno del pane. La comunione al pane benedetto, su cui Gesù ha reso grazie, è la comunione al mistero dell’incarnazione, quindi, è comunione al mistero di Dio. Questo poi indica comunione piena con lui nel dono di sé stesso.
vv. 34-35: Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».
In questo versetto c’è una maturazione della folla. C’è il passaggio da Rabbì a Signore. Ma bisogna andare ancora oltre, perché il linguaggio è tipico della Samaritana al pozzo: "Signore, dacci sempre questo pane" (cfr. Gv 4,15) che chiedeva l’acqua viva per colmare la sua sete ed evitare la fatica quotidiana. La folla chiede di dare loro questo pane, perché possano vivere in pienezza ma deve entrare nella dimensione divina!
Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!
A questo punto, Gesù esplicita ulteriormente la sua identificazione col pane celeste: "Io sono il pane della vita". Gesù si presenta come la piena risposta alle esigenze di pienezza di vita che ogni uomo porta dentro di sé. È la sua prima auto definizione di una lunga serie con cui Gesù si rivela all'uomo, a ciascuno di noi: "Io sono la luce...la porta...il buon pastore...la risurrezione e la vita...la via, la verità e la vita..." (Cfr. Gv 8,12.18.23; 10, 7.9; 11, 14.25; 14,6; 15, 1.5). È una rivelazione di una solennità unica. Come il pane o il cibo consente di sopravvivere, di crescere, e dà sapore e diletto, è cioè necessario per la vita del corpo, così Gesù è l'unico necessario e indispensabile sul piano della vita eterna, che sola merita il nome di vita in senso pieno.
Il pane che attivamente dà la vita produce la vita: vita divina. Una vita che è già realtà presente di comunione con Gesù e con Dio tutta protesa alla pienezza finale. Si tratta di accoglierlo nella fede, condizione necessaria. Lo stesso Paolo rivela ai Corinti che chi riceve l'iniziazione battesimale «aderisce a Cristo, diventa con Lui unico Spirito» (1Cor 6,17).
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Perché cerco Gesù? Per quale ragione cerco il Signore, cosa mi spinge a cercarlo? Forse perché sono stato saziato nella mia preghiera, nel mio desiderio? Di chi o di cosa ho veramente bisogno?
Di quanti segni ho ancora bisogno, di quante testimonianze per credere? Forse che Dio non mi ha colmato a sufficienza di misericordia e di grazia?
Sono convinto/a che solo un’attenta ricerca di Lui nella mia vita mi può portare alla sazietà del cuore? O preferisco il cibo che perisce?
Credo in Colui che Dio ha mandato?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Ciò che abbiamo udito e conosciuto
e i nostri padri ci hanno raccontato
non lo terremo nascosto ai nostri figli,
raccontando alla generazione futura
le azioni gloriose e potenti del Signore
e le meraviglie che egli ha compiuto.
 
Diede ordine alle nubi dall’alto
e aprì le porte del cielo;
fece piovere su di loro la manna per cibo
e diede loro pane del cielo.
 
L’uomo mangiò il pane dei forti;
diede loro cibo in abbondanza.
Li fece entrare nei confini del suo santuario,
questo monte che la sua destra si è acquistato. (Sal 77)
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Mettiti in silenzio pensa di essere seduto anche tu sull'erba e accogli le parole del Vangelo nel tuo cuore e lascia che Lui ti incontri e ti sfami. Ripeti nel cuore e nella vita: "Signore dacci sempre questo pane...Donaci, Signore, il pane della vita".