martedì 28 gennaio 2025

LECTIO: PRESENTAZIONE DEL SIGNORE (Anno C)

Lectio divina su Lc 2,22-40
 

Invocare
O Dio, nostro Creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio, generato prima dell’aurora del mondo, divenisse membro dell’umana famiglia; ravviva in noi la venerazione per il dono e il mistero della vita, perché i genitori si sentano partecipi della fecondità del tuo amore, gli anziani donino ai piccoli la loro saggezza matura, e i figli crescano in sapienza, età e grazia, rendendo lode al tuo santo nome. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
22 Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore - 23 come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore - 24 e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
25 Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. 26 Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 27 Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28 anch'egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
29 «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola,
30 perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
31 preparata da te davanti a tutti i popoli:
32 luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
33 Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
34 Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione 35 - e anche a te una spada trafiggerà l'anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
36 C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, 37 era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38 Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
39 Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. 40 Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Siamo nella sezione del Vangelo dell'infanzia, qui l'evangelista Luca ci presenta la vita di Gesù all'interno delle pratiche religiose giudaiche (cf. Lv 12,6-8). Dopo gli eventi del Natale, segue la circoncisione del bambino nell’ottavo giorno nella coreografia della presentazione al Tempio, al quarantesimo giorno dalla nascita. Ma a Luca non interessa tutto il rito della purificazione o altri riti, tanto è vero che non li descrive.
La Lectio riflette sulla presentazione al Tempio di Gesù presentandone tre momenti: la circoncisione (v. 21, non è incluso nel nostro brano), la presentazione al tempio (vv. 22-38) e il ritorno a Nazareth (vv. 39-40).
Il protagonista dell’azione nella pericope evangelica è lo Spirito Santo, riferito per tre volte.  In tutto il vangelo lucano si riflette l’azione dello Spirito Santo: la potenza dello Spirito adombra Maria (Lc 1,35), fa sussultare Elisabetta (Lc 1,41), conferma Gesù nel Battesimo al Giordano (Lc 3,22), lo conduce nel deserto (Lc 4,1). Lo stesso Spirito consacra il Figlio per l’evangelizzazione (Lc 4,14), dalla prima uscita pubblica a Nazareth (Lc 4,18), lo fa esultare e benedire il Padre (Lc 10,21), che lo dona a coloro lo pregano (Lc 11,13).
Il ritorno a Nazaret avviene dopo che ebbero adempiuto ogni cosa secondo la Legge del Signore. Il brano si chiude a mo’ di ritornello (v. 40) mettendo in evidenza la grazia di Dio sul Bambino.
La liturgia odierna ci invita, mossi dallo Spirito Santo, di andare "incontro al Cristo nella casa di Dio, dove lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane, nell’attesa che egli venga e si manifesti nella sua gloria".
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
vv. 22-24: Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino Gesù a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore;
Il primogenito di ogni famiglia era consacrato a Dio (Es 13,11-16) e doveva essere riscattato, ma questa presentazione del bambino al tempio non era comandata dalla legge. La legge consisteva anzitutto nella circoncisione del primogenito, che prevedeva il rito del "riscatto" del bambino e dell’imposizione del nome (cf. Gen 17,9-14; Gs 5,2-8). Luca probabilmente evoca l’episodio di Samuele condotto al tempio e lasciato dalla madre alle cure di Eli (1Sam 1,24-28; 2,20-22).
Anche la famiglia di Gesù si sottopone alla Legge in tutte le sue prescrizioni. Infatti, il termine "legge" apre e chiude la narrazione (vv. 22; 39).
Luca, riportando qui l’episodio, vuole mostrare lo zelo con cui i genitori di Gesù adempiano il compito che Dio ha loro affidato. Nel gesto che fa la santa Famiglia, ci sta una motivazione profonda. Non un fatto puramente rituale, tanto è vero che all'Evangelista questo non interessa. Si tratta invece di praticare quelle osservanze che ci consentono di essere quello che Dio vuole che siamo. E, nello stesso tempo, di diventare luce di esempio buono, correndo sulla via di quello che, con la sua legge, Dio ci offre per la nostra salvezza.
Luca sottolinea il motivo del dare il nome in quanto rivela l’identità e la missione di Gesù (Yeshua in ebraico significa "Dio salva"). "Il nome di Gesù significa che il nome stesso di Dio è presente nella Persona del Figlio suo fatto uomo per l'universale e definitiva redenzione dei peccati" (CCC, 432).
Il nome indica il mistero irripetibile della persona umana. Rivelare il nome, imporre il nome, chiamare per nome dice relazione con l’altro. Gesù entra anche giuridicamente nella comunità degli uomini, come ricorda Paolo nella Lettera ai Galati (4,4s), chiamato per nome e la sua venuta è salvezza per le genti.
e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.
L’offerta (paristanai: presentare, offrire) del primogenito a Dio prevedeva un’oblazione. Per le famiglie benestanti questa oblazione imponeva il sacrificio di un animale grosso, mentre in caso di famiglie povere, l’offerta poteva consistere in colombi o tortore (cf. Lv 12,1-8). L'Evangelista qui ci ricorda che Maria offrì il sacrificio dei poveri e che tutta la sua famiglia, con questo gesto, viene annoverata tra i poveri di Israele.
Gesù un giorno riprenderà questo discorso e si scaglierà contro l'attività commerciale al tempio, ribadendone la santità (cf. Gv 2,14-16). La motivazione di quest'atteggiamento consiste che non è più l’offerta di olocausti e sacrifici a caratterizzare la relazione tra Dio e l’uomo, ma la nuova offerta è il Figlio, donato una volta per sempre per la salvezza dell’umanità.
In questi versetti troviamo la chiave di lettura del racconto teologico di Luca. Esso va letto alla luce della Pasqua. Sarà l'evento pasquale ad illuminare l'episodio dell'infanzia in cui si tratta di offerta, sacrificio, riscatto, purificazione. Ma tutto questo tornerà chiaro dopo la Pasqua. Intanto possiamo cogliere per la nostra vita che la presentazione di Gesù ci insegna a riconoscere il dono della vita e che appartenere a Dio ci rende figli del medesimo Padre.
vv. 25-26: Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Simeone viene presentato in un contesto profetico, con tre qualità: giusto, pio, paziente (("aspettava la consolazione d'Israele"). In questa descrizione abbiamo una intima apertura a Dio. Del resto, l’etimologia popolare di Simeone, presa da Gen 29,33 significa “Dio ha ascoltato” o “Dio ha esaudito”.
Simeone è l’uomo in un continuo atteggiamento di ascolto della Torah, lasciandosi adombrare dallo Spirito.
Luca annota che Simeone aspettava la consolazione. Il testo greco riporta "paraklesis", una parola che riscontriamo facilmente in san Giovanni in riferimento allo Spirito Santo. Simeone è un uomo capace di sperare ed attendere. L’evangelista Luca, con questo personaggio, descrive la realtà dominante nel giudaismo del tempo dì Gesù: l’attesa messianica, la speranza della venuta di un redentore, dell’unto di Dio.
In questi suoi atteggiamenti troviamo in lui il dono dello Spirito Santo. Il suo essere aspettante (prosdechómenos) era guidata e confortata dallo Spirito Santo. Lo stesso Spirito l’ha condotto a vedere il Cristo del Signore prima della sua morte (v. 26). E dopo aver veduto il Cristo del Signore non si vede più la morte come prima. Dice infatti il Signore: “In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno (Gv 8,51). E Simeone ci invita a vivere nell’attesa per gioire e vivere nella pace, quella stessa pace che non ci farà gustare la morte in eterno, perché “Dio è Dio dei vivi e non dei morti” (Lc 20,37).
vv. 27-28: Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch'egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio.
È sempre lo Spirito Santo che mette in movimento. È sempre lo Spirito Santo che agisce in Simeone. Egli si reca al tempio, «prende i bambino nelle sue braccia e benedice Dio».
L’anziano di Israele accoglie il mistero del Dio incarnato, esprimendo la gioia di questo incontro e preannunciando una straordinaria profezia su Gesù e Maria. "Le braccia di Simeone sono le braccia secche e bimillenarie di Israele che riceve il fiore della vita" (S. Fausti).
Simeone pronuncia la sua Berakah, termine ebraico (dalla radice verbale brk) normalmente tradotto con benedizione, ringraziamento o eucarestia. Usatissimo nell’AT, viene tradotto dai LXX con eulogia (circa 640 volte) e, più raramente con eucaristia. Esistono due figure di berakah: la berakah discendente e la berakah ascendente. Nel brano non viene riportata la benedizione tradizionale: "Benedetto Tu, Signore..." ma solo la preghiera personale dell'anziano.
vv. 29-32: Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele.
Simeone esulta perché vede che la Parola di Dio si è avverata ed eleva questa preghiera presa dall’AT, una ricostruzione di passi ricavati dal Secondo Isaia (40-55) e che tutta la Chiesa ancora oggi prega a Compieta.
L’esultanza di Simeone è paragonabile a quella di Maria e di Zaccaria: l’anziano, grazie all’azione dello Spirito Santo, ha finalmente realizzato l’incontro della sua vita! Simeone si pone dinanzi a Dio in rapporto di servo a padrone; l’idea, tuttavia, va al di là di una relazione giuridica: essa indica la totale dipendenza dal Signore del mondo al quale Simeone è stato fedele durante tutta la sua esistenza
Ora egli non dovrà più attendere: i suoi occhi hanno visto la salvezza (sōtēria), la luce (phōs) e la gloria (doxa) nella estrema debolezza di un bambino! Soltanto colui che ha saputo attendere la pace messianica, nella fede, ora può esultare nella lode!
In questi versetti, attraverso Simeone, Luca mette Gesù al centro della storia della salvezza, punto di arrivo delle promesse e punto di partenza di una salvezza destinata a tutti i popoli perché insieme formino l’unico popolo di Dio.
v. 33: Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
Quasi a ritornello ritorna (e ritornerà) la meraviglia, lo stupore (cfr. Lc 1,63; 2,18.33.48). I genitori possono solo intuire il senso di quanto sarà di questa Realtà divina. Essa in genere si conclude in un racconto di miracolo, serve a sottolineare l'importanza rivelatrice del Nunc Dimittis, esprime la reazione dell'uomo dinanzi ad una rivelazione o ad un fatto che appartiene al mistero del piano di Dio e che comunque supera l'attesa umana. Il cantico ascoltato porta per tutti noi quella salvezza inaccettabile in quanto davanti contiene in se una morte cruenta ma grazie a Dio sfocia nella risurrezione.
vv. 34-35: Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione
Ritorna il tema della benedizione (cfr. v. 28) che introduce anche la seconda parte delle parole di Simeone, ora rivolte all'indirizzo della famiglia di Nazaret.
Le parole dell’anziano Simeone sono introdotte da un verbo: “keimai” che significa: “giace, è disteso, riposa, è posto, è adagiato, è deposto”, lo stesso verbo che troviamo in Lc 2,12.16 nella mangiatoia di Betlemme. Lo ritroviamo in Lc 23,53 alla deposizione dalla croce, nel momento in cui viene avvolto in un lenzuolo, Giuseppe di Arimatea lo pose in un sepolcro scavato nella roccia. È un verbo che abbraccia Gesù dalla nascita alla sepoltura, dall’esser posto avvolto in fasce in una mangiatoia all’essere posto avvolto in un lenzuolo in un sepolcro.
Il verbo kemai è accompagnato dal “segno di contraddizione” di cui Gesù è definito (sēmēion antilegomenon). È il segno dell’offerta di Dio. Egli mostra il suo Figlio innalzato sulla croce. Sta al cuore di ciascuno accettarlo o meno.
Qui troviamo la definizione più misteriosa e toccante della profezia di Simeone. Gesù sarà il profeta delle genti e "più di un profeta" (cfr. Lc 7,16): egli è il salvatore del mondo! E Maria sarà chiamata a condividere il dono della salvezza "offrendo se stessa" nel dolore.
e anche a te una spada trafiggerà l'anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
Anche Maria è coinvolta in questo segno di contraddizione. La madre del messia è la prima ad essere colpita. Ella è nel cuore della battaglia pro o contro Gesù. È la “Figlia di Sion” divisa, lacerata nel più profondo (cf. Is 8,14; 28,16; Lc 20,17). Per questo Simeone le rivolge una profezia enigmatica che le concerne direttamente: una spada trafiggerà la sua vita, “poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell'incomprensione e nel dolore” (Giovanni Paolo II, RM, 16).
La proposizione è redazionale e sembra ispirarsi a Ez 14,17s (LXX) che contiene l'idea di una spada che divide, che riecheggia il “canto della spada” di Ez 14,17: “se io mandassi la spada contro quella terra e dicessi: «Spada, percorri quella terra», e così sterminassi uomini e bestie” e riprende quanto in seguito dirà Gesù: "non son venuto a portare la pace ma una spada" (Mt 10,34).
La spada che è venuto a portare Gesù non serve ad uccidere. Nel mondo giudaico l'immagine della spada era adoperata per indicare la Parola di Dio. Paolo riprenderà questo tema e nella sua iconologia lo vedremo raffigurato da una spada. La spada di Gesù è quello della Parola di Dio, viva ed efficace (Eb 4,12). Gesù sarà quella spada che dividerà quanti l'accolgono da coloro che lo rifiutano.
Da questo dolore, dall'incontro con Cristo nascerà la nuova famiglia, che con Gesù allarga il suo orizzonte. Non si concentra nei propri bisogni, ma estende la sua capacità d'amare a tutti, come una benedizione centuplicata (cfr. Gen 26,12).
Maria, la madre di Gesù, qui sarà modello di ogni discepolo in quanto la contraddizione che ella subì nel suo intimo prefigura il destino di coloro che come Lei accolgono la Parola che è spada a doppio taglio nel loro cuore (cf. Lc 8,21;21,16).
vv. 36-38: C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Luca, introducendo questa parte, fa uscire di scena Simeone per fare entrare un'altra figura profetica: un'anziana donna, descritta come una donna fedele. Il suo nome, Anna, ci richiama allo stesso nome della madre di Samuele. Il suo nome (equivalente maschile Iohannan) significa “Il Signore fece grazia”. È figlia di Fanuele, in ebraico Pnû-‘El = Il volto di Dio, della lontana tribù settentrionale di Aser.
Anna è qualificata col raro titolo di profetessa come Debora (Gdc 4,4) e Culda (2re 22,14). Viene descritta con le stesse caratteristiche di Giuditta: vedova, assidua nei digiuni e nelle preghiere (Gdt 8,4-6), "andò molto avanti negli anni" (Gdt 16,23).
L’evangelista riporta l’età dell’anziana donna: 84 anni. Ora, questo è un numero simbolico, 12x7 (12 il popolo d’Israele e 7 la pienezza) ma è anche il doppio di 42, che indica gli anni dell’attesa nel dolore e nella tribolazione. Anna aveva atteso il doppio degli altri per intensità e speranza; la sua vita era fatta di digiuni e preghiere. Anna è colei che invoca l'intervento di Dio "notte e giorno" (Lc 18,7) pregando sempre senza stancarsi, proprio come sarà la prescrizione del Signore per i suoi discepoli (Mt 17,21): “pregare con coraggio, con costanza, persino con invadenza, senza stancarsi mai; perché la preghiera non è una bacchetta magica, ma una ricerca, un lavoro, una lotta, che richiede volontà, costanza e determinazione” (Papa Francesco).
Anna giunge nel tempio all’apertura del mattino, per assistere al primo sacrificio; nei versetti non riscontriamo che vide il Bambino e se parlò ai Genitori, ma lo fa supporre. Come i pastori di Betlemme (Lc 2,20) prosegue a parlare “di Lui”, del Bambino, facendolo conoscere “a tutti quelli che attendevano la redenzione (lýtrōsis= riscatto, termine che indica la libertà ottenuta dal servo dietro pagamento di un riscatto) in Gerusalemme. 
Anche Anna è da annoverarsi tra gli “anawim” i poveri di Jahvè, socialmente insignificante ma preziosa agli occhi di Dio. Ciò le permette di riconoscere il passaggio di Dio nella sua vita, tra la sua gente: gli permette di accogliere Cristo Gesù.
vv. 39-40: Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
L’Evangelista cambia nuovamente scena e conclude il racconto sottolineando come la santa Famiglia ha saputo sottomettersi alla legge del Signore: ora è pronta per ritornare all’ordinarietà della vita.
Dopo aver fatto ritorno nella regione della Galilea, Luca annota nel sommario che il bambino cresceva e si fortificava pieno di sapienza e che la grazia di Dio che, come abbiamo scritto sopra, corrisponde all’azione misteriosa dello Spirito Santo. È la profezia del primo adempimento della vita di Gesù che si snoda tra Nazaret - Betlemme - Nazaret, mentre la seconda sarà Nazaret - Gerusalemme - Nazaret (cf. Lc 2,49).
Il Bambino Gesù cresceva in semplicità di vita esperienza che da grande comunicherà agli altri con queste parole: “per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?” (Mt 6,25 vedi anche i vv. seguenti). Inizia quindi una nuova epifania di Dio nella vita quotidiana quasi a lasciare sospesa la storia che si riaprirà nuovamente, in sapienza fra i dottori del tempio (cf. Lc 2, 41-52). Egli, infatti, è quel chicco di senapa che il Padre ha preso e gettato nel suo giardino, è cresciuto ed è diventato albero dove tutti i popoli, come uccelli del cielo, fanno dimora fra i suoi rami (Lc 13,18s).
A conclusione facciamo risuonare ancora i verbi adempiere e crescere lasciandoci prendere per mano e alzare lo sguardo verso la croce, verso quell’albero piantato e che abbraccia tutte le dimensioni del Regno e che ancora oggi si manifesta in mezzo a noi, “finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,13).
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Come Simeone sono capace di saper attendere con pazienza ed accogliere con gioia la novità cristiana?
Sull'esempio di Simeone ed Anna, come rileggo l'esperienza del mio cammino di fede?
Anche per me c'è una "spada che trafigge". Riesco a concepirla come una lacerazione di coscienza davanti alle sfide e alle richieste di Gesù? Oppure penso ad un fatto pietistico?
Ogni giorno come genitore sono chiamato a essere responsabile del bene dei figli. È un dovere che ho ben presente?
Come Famiglia ci sentiamo parte della Comunità in cui cerchiamo di "ascoltare-vedere-agire" accogliendoci con fiducia e pazienza reciproca?
Dopo aver ascoltato questa pagina evangelica, rimango affascinato e sorpreso come Maria e Giuseppe?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
 
Chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia.
 
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
 
Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria. (Sal 23)
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Ritorniamo dopo aver meditato, pregato, contemplato questa pagina di Vangelo, non chiusi nell’ordinarietà della vita ma a far brillare la vita dentro e fuori il proprio cuore, per il bene nostro e per quello degli altri.