mercoledì 12 febbraio 2020

LECTIO: VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno A

Lectio divina su Mt 5, 17-37

Invocare
O Dio, che riveli la pienezza della legge nella giustizia nuova fondata sull’amore, fa’ che il popolo cristiano, radunato per offrirti il sacrificio perfetto, sia coerente con le esigenze del Vangelo, e diventi per ogni uomo segno di riconciliazione e di pace. Per Cristo nostro Signore. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere)
17 «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. 18 In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. 19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli.
Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. 20 Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
21 Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. 23 Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24 lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. 25 Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26 In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
27 Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. 28 Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. 29 Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30 E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
31 Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. 32 Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
33 Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. 34 Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, 35 né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. 36 Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37 Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».

Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio

Dentro il Testo
Siamo nel contesto del discorso della montagna, discorso che sorprende le l’autorità. Gesù parte da un discorso di felicità e comunica con vigore le esigenze di una vita segnata dall’essere figli di Dio e dalla fraternità verso tutti.
Gesù partendo da Mosè che dona la Legge sul monte Sinai (Es 24,9), fa capire il precetto della legge ebraica. Questo lo fa da Maestro. La sua posizione – seduta - ricorda l’atteggiamento del rabbi ebraico che interpreta la Scrittura ai suoi discepoli. Gesù stesso aveva dato l’autorità di estrarre dal loro «tesoro cose nuove e cose antiche».
Il messaggio di Gesù in questo inizio si concentra sulla felicità in senso biblico, che pone l’uomo nel giusto rapporto con Dio e, di conseguenza, con la totalità della vita: una felicità legata alla realtà stessa del regno dei cieli. In una seconda parte viene sviluppato il tema della «giustizia» del regno dei cieli (5,17-7,12).
L’evangelista Matteo nel brano odierno permette di interrogarci su 6 antitesi: tre che riguardano il prossimo; due la sessualità e il matrimonio: una il giuramento, facendoci capire che Gesù è la pienezza della legge perché egli è la parola definitiva del Padre (Eb 1,1). Paolo ci dice che “chi ama il suo simile ha adempiuto la legge... Pieno compimento della legge è l’amore” (Rm 13,8-10).

Riflettere sulla Parola (Meditare)
 vv. 17-18: Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.
Le parole contenute in questi versetti sono indirizzate ad alcuni che rispettavano la legge, non soltanto nel suo senso letterale, ma ancora nel senso spirituale; e temevano che Gesù avesse l'intenzione di rovesciare tutte le istituzioni stabilite da Dio fra loro.
In queste parole Gesù fa una sua dichiarazione: la sua venuta è per adempiere «la Legge ed i Profeti», un’espressione usuale per designare le Sacre Scritture. La «Legge ed i Profeti», come risulta da altri passi del Vangelo (cfr. 7,12; 11,13), esprimono, nel pensiero di Gesù, la volontà divina rivelatasi nell'Antica Alleanza.
Ora Gesù è il Messia predetto dalle Scritture e porta a compimento quanto nella Legge e nei Profeti si dice di lui, vivendola. Gesù non è venuto per abolire la Legge, ma per portarla a compimento. Ciò che viene portato a compimento non può cessare di essere, ma viene ad essere, appunto, nel compimento. La Legge compiuta non è in contraddizione con la Legge, ma ne è la piena fioritura. Gesù con la sua obbedienza e pratica attraverso la passione, morte e resurrezione ha adempiuto la Legge.
In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.
Gesù afferma, esattamente come i rabbi, che la Legge nessun uomo potrà cambiarla perché voluta da Dio e protetta da Dio. Non un solo iòta passerà della Legge. Lo iòta è la lettera dell’alfabeto greco (keraia, in greco) che sta per la lettera ebraica yod, il più piccolo dei caratteri ebraici e somiglia al nostro apostrofo.  
Parlando in questi termini, Gesù mette pace in quanti erano rimasti fedeli alla Legge e che con il cristianesimo si sentivano certo defraudati di un valore importante.
Anche questi segni più piccoli, Gesù li porta a compimento, sia per quanto riguarda il giudizio alla fine dei tempi, sia rispetto alla morte e risurrezione di Gesù.
vv. 19-20: Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Gesù rassicura quanti ascoltano le sue parole affermando la validità della legge. I versetti sono pieni di verbi che conducono all’insegnamento di Gesù: fare la volontà del Padre (Mt 3,13-4,11), tranne del verbo compiere o adempiere riservato solo a Gesù. Infatti, solo lui compie la Legge, solo la sua persona presenta le caratteristiche della pienezza. Qui si radica il suo autorevole invito, che per noi diventa un «invio», un compito a compiere in pienezza la Legge: «Io vi dico…» (vv. 18.20).
Rifacendosi a quanto già detto, abbiamo qui gli Scribi ed i Farisei che non osservavano la legge, poiché essi l'annullavano con le loro tradizioni, e la mettevano in pratica soltanto esternamente. Scribi e Farisei, due classi di individui i quali, da due diversi punti di vista, consideravano Gesù come un sovvertitore della legge e dei profeti.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Il lievito degli scribi, dei farisei, e anche dei sadducei, era seducente poiché proponeva la perfezione dell'adempimento della Legge e quindi il gradimento di Dio, e per questo Gesù afferma che la loro giustizia, cioè il nucleo ispiratore dei loro precetti, era falso e non portava al cielo ma alla Geenna (Mt 23,13s). Quindi non sono modelli da seguire.
Perciò essi pretendevano invano di essere giusti; e Gesù dichiara che coloro i quali desiderano entrare nel regno dei cieli devono essere più santi di loro: senza una giustizia superiore a quella dei Farisei, noi non possiamo far parte della sua Chiesa, né in questo mondo, né nel mondo avvenire.
Il versetto lascia intravedere tre giustizie: la giustizia degli scribi, dei farisei e dei discepoli. Matteo contrappone, in una prima parte, il pensiero di Gesù alla giustizia degli scribi (le cui antitesi sono contenute in 5, 21-48), nella seconda parte, l’opposizione di Gesù alle pratiche dei farisei (elemosina, preghiere e digiuno: 6, 1-18); infine, la terza parte, la giustizia “superiore” del discepolo (6,19-7,27).
La giustizia di cui si parla non è da intendersi nella superiorità quantitativa (più digiuno, più preghiera e più elemosina), ma una superiorità nella qualità. E per giustizia Matteo intende semplicemente, la volontà di Dio.
Perciò se vogliamo che la nostra giustizia superi quella degli Scribi e dei Farisei, conviene che essa abbia la sua sede nei nostri cuori, dove avviene l’incontro con Dio, e si manifesti nella nostra vita.
vv. 21-22: Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”.
Qui Gesù inizia ad affrontare l’argomento delle relazioni fraterne, ad esporre il vero significato del comandamento. Il Signore non proibisce in un modo assoluto di adirarsi. L'ira, quando è diretta contro il peccato è lecita. «Adiratevi ma non peccate» dice san Paolo (Ef 4,26). Gesù guarda gli ipocriti Farisei «con indignazione» (Mc 3,5). Egli parla qui di un'ira piena di odio contro al fratello. Nella prospettiva completamente nuova del Discorso della Montagna, ogni mancanza d’amore verso il prossimo comporta la stessa colpevolezza dell’omicidio. Infatti la collera, l’ira, il disprezzo dell’altro si radicano in un cuore sprovvisto d’amore.
In questo caso l'ira è peccaminosa; è disubbidienza al quinto comandamento; è l'omicidio che sì svolge nel cuore, benché non sia ancora arrivato alle mani. «Chiunque odia il suo fratello, è omicida» (1Gv 3,15).
La vita dell’uomo è sacra perché è stata creata da Dio ed ha come scopo principale quello di tornare a Dio. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine; nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente (Catechismo Chiesa Cattolica n. 2258). Per Gesù non s’infrange la Legge solo uccidendo, ma anche con tutte quelle azioni che tentano di distruggere o “vanificare” l’altro.
Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Gesù dimostra qui che la legge di Dio è «giudice dei pensieri e delle intenzioni del cuore»; che non è destinata a reprimere solo gli atti violenti, ma pur anche le malvagia disposizioni dalle quali essi procedono. Egli riconduce il Patto alla sua origine, allo spirito che l'ha prodotto, e combatte il peccato nella sua sorgente, ipocritamente risparmiata dai Farisei.
Non basta dunque non uccidere, occorre coltivare atteggiamenti di benevolenza e di accoglienza nei confronti degli altri, nel rispetto della loro vita. Non si può sminuire la dignità delle persone, non si può sminuire semplicemente per il fatto che si è figli di Dio, cristiani, perciò nostri fratelli. Le sanzioni previste per questa infrazione ricorrono ai tribunali umani: il giudizio, cioè il tribunale, il Sinedrio, un tribunale religioso e infine la Geena, cioè l'inceneritore pubblico di Gerusalemme, simbolo del giudizio finale. L'accoglienza del fratello e il rispetto della sua vita sono dunque molto importanti se la loro mancanza produce pene così forti.
vv. 23-26: Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Questi quattro versetti, contengono un'applicazione pratica degli insegnamenti di Gesù relativi al sesto comandamento. Quantunque il nostro primo dovere sia di rendere il nostro culto a Dio, Gesù, per dimostrare l'importanza e la necessità della riconciliazione, dichiara che l'offensore, anche se egli fosse in procinto di rendere il suo culto a Dio, dovrebbe sospenderlo, finché non avesse confessato il suo torto al suo avversario, e non si fosse riconciliato con lui. Non è solo questione di chiedere perdono: è urgente ricostruire le relazioni fraterne perché il bene del fratello è il mio bene.
Gesù dice: “Va’ prima”… Innanzitutto, prima di pregare, prima di donare, prima che l’altro faccia il primo passo, c’è il movimento del mio cuore, del mio corpo verso l’altro. Tale andare verso l’altro ha come scopo la ricomposizione della lacerazione; un movimento che tende alla riconciliazione.
Il perdono vicendevole e la riconciliazione sono una condizione per partecipare nel culto; senza di essi non é possibile la relazione con Dio.
vv. 27-28: Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Anche qui abbiamo un richiamo al Decalogo (Es 20,14; Dt 5,18): “non commettere adulterio”. Il desiderio della donna, riguardante questo versetto, non si riferisce a un semplice pensiero ma a un proposito peccaminoso. Questo non solo verso donne sposate ma anche nubili. Lo sguardo di cui parla Gesù non è prodotto da un pensiero fugace, immediatamente represso da una santa vigilanza, ma è uno sguardo diretto dalla volontà stessa dell'uomo con lo scopo di fomentare in se stesso e negli altri passioni impure (vedi sesto comandamento). Esempi di tali «sguardi» peccaminosi condannati severamente dalla Bibbia non mancano (cfr. 2 Sam 11,2; Dn 13,20).
Contro i 613 precetti della Legge numerati dai rabbini Gesù, riprendendo l’Antico Testamento, ricorda che il comandamento è uno solo eppure abbraccia ogni atto e ogni istante della vita: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente e amerai il prossimo tuo come te stesso”. È da questo comandamento che “dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22, 37-40).
vv. 29-30: Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
«Cava il tuo occhio taglia la tua mano» Gesù usa un linguaggio particolarmente forte per sottolineare la gravità del pericolo costituito dallo sguardo peccaminoso. Egli applica il suo insegnamento a ciascuno. Queste sono immagini forti, anch’esse riferite al sesto e nono comandamento, che probabilmente Gesù non ha usato, ma che erano chiare in rapporto alla circoncisione. È necessario individuare e allontanare dal cuore qualche pensiero o sentimento preciso che, pur essendo legato alla nostra natura, ci impedisce di raggiungere la piena dignità che Dio vuole per il nostro corpo. Quindi ciò che è da cavare, da tagliare non è una parte del corpo, ma la concupiscenza che si pasce e cresce per mezzo dell'occhio e della mano.
La metafora è probabilmente tolta dall'esperienza chirurgica, e in ogni caso è adatta come illustrazione del soggetto, poiché è noto ad ognuno, quando la salute del corpo è compromessa da uno dei membri, non si esita a tagliarlo per evitare la morte. È meglio rifiutare la soddisfazione di una mala concupiscenza in questa vita, dice il Signore, che abbandonarsi in balìa del peccato, il quale conduce alla perdizione. È meglio coltivare i nostri desideri e a indirizzarli al bene.
vv. 31-32: Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
La legge ebraica permetteva il divorzio, o meglio il marito poteva ripudiare la moglie qualora avesse trovato in lei qualcosa di vergognoso (Dt 24,1). il Signore esclude per sempre ogni forma di divorzio. Questo è adulterio per entrambi i separati, se si risposassero, e anche per i loro nuovi sposi. La prescrizione è netta e non ammette eccezioni. Viene descritto solamente il caso del concubinato che nel testo greco (pornéia) indica la prostituzione, sia come idolatria, sia come la pratica di vendere il proprio corpo. Mentre in ebraico il termine corrispondente è zenût (impudicizia, fornicazione), un termine dispregiativo con cui i rabbini chiamavano i matrimoni non validi, come quelli contratti fra parenti, proibiti dalla legge mosaica (cfr. Lv 18), ammessi però nel diritto greco-romano.
Matteo scrive per un ambiente giudaico e altrove non riscontriamo lo stesso problema (cfr. Mc 10,1-12; Lc 16,18 e 1Cor 7,10-11). La legge dell'indissolubilità, dunque, secondo Matteo, non deve estendersi alle unioni non «legate da Dio».
vv. 33-35: Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re.
Viene ripreso qui l’8° comandamento (Es 20,7); Gesù si riferisce ai vari passi del Pentateuco in cui si danno le norme per la disciplina del giuramento (cfr. Lv 19,12; Nm 30,2). La pratica del giuramento, comune a tutti i popoli, aveva lo scopo di chiamare Dio a garanzia della verità. Ma poiché le circostanze della vita davano mille occasioni di ricorrere al giuramento, facile ne era l'abuso o per leggerezza o inadempimento. Adesso Gesù con le parole “non giurare affatto”, prescrive che ogni giuramento è escluso del tutto (cfr. Sir 23,9). Giurare è sempre un atto che esige coerenza con la vita, ma tra persone oneste, che hanno coerenza di vita, non c'è bisogno del giurare, basta la parola data. Non bisogna sprecare parole inutilmente, ma a parlare e ad agire con rettitudine.
All'insegnamento di Gesù fa eco l'avvertimento dell'apostolo Giacomo: Soprattutto, fratelli miei, non giurate né per il cielo, né per la terra e non fate alcun altro giuramento. Ma il vostro «sì» sia sì, e il vostro «no» no, per non incorrere nella condanna. (Gc 5,12).
vv. 36-37: Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».
Gesù quindi proibisce qualsiasi giuramento perché l’uomo non può disporre  né di Dio (vv. 34-35), né di se stesso (v. 36). Non si può impegnare Dio poiché non ci appartiene; e neanche noi stessi perché apparteniamo a Lui.
Qui viene ripreso anche un giuramento molto comune tra gli Ebrei: il giurare per la propria testa, quasi a dire: “per la mia vita!”, “per l’anima mia!”. Cioè: Ch'io possa morire se ciò che dico non è vero! Il nostro Signore proibisce di giurare così, e ne dà la ragione: “perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo tuo capello”.
La parola «potere» nel testo greco ha il senso di “cambiare radicalmente il colore dei capelli”, non di modificarli con tinte o con preparati chimici.
Il senso del versetto è evidentemente quello che deriva dalla constatazione che non avendo alcun potere sulla nostra vita rappresentata dalla “testa” (capo), che Dio solo può abbreviare o prolungare, siamo colpevoli giurando per quella, come giurando per il Creatore nostro.
Questo discorso di Gesù non è puro umanesimo; tutto è trattato dal punto di vista di Dio. La verità di un uomo è nella corrispondenza del “sì” e del “no” che pronuncia con le radici del suo sentimento e del suo pensiero.
Il maligno di cui si parla a conclusione del v. 37 può essere riferito sia all'uomo che compie il male sia a Satana, che si annida nei falsi giuramenti e nei discorsi troppo lunghi e complicati.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
Come vivo i precetti della legge di Dio, come una legge di libertà o come un obbligo che mi rende schiavo?
Nella vita sono sempre aperto alla richiesta di Gesù per una giustizia più grande? Sono consapevole di non essere, ancora, nella giustizia piena? Mi confronto con l’agire di Dio?
La mia giustizia si impegna a imitare qualcosa della giustizia di Dio, della sua gratuità, della sua creatività?
Come vivo nella società il comandamento di non uccidere? Nella mia offerta all´altare, dò più importanza a Dio o al fratello?
Come vivo il sesto e il nono comandamento? Il mio parlare è sincero o pieno di falsità, ipocrisia?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Beato chi è integro nella sua via
e cammina nella legge del Signore.
Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.

Tu hai promulgato i tuoi precetti
perché siano osservati interamente.
Siano stabili le mie vie
nel custodire i tuoi decreti.

Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
osserverò la tua parola.
Aprimi gli occhi perché io consideri
le meraviglie della tua legge.

Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la custodirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore. (Sal 118).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
La scelta fondamentale di tutta la nostra esistenza è nella nostra libertà: o con Dio, in Cristo, o lontano da lui, privi della vera libertà e di amore. Ciò esige una conversione permanente senza accomodamenti.