martedì 31 agosto 2021

LECTIO: XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno B)

 Lectio divina su Mc 7,31-37
 
Invocare
Custodisci sempre con paterna bontà la tua famiglia, Signore, e poiché unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da te, aiutaci sempre con la tua protezione.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
31Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
L’evangelista Marco raccoglie nella sua opera 18 episodi di miracoli. Nel vangelo il miracolo non è legato al miracolismo (cosa che andiamo a cercare tutt’oggi), ma alla veridicità dell’annuncio.
Il vangelo odierno ne presenta uno: per la prima volta qui Gesù fa ricorso a gesti molto comuni tra i guaritori dell'epoca; infatti pone le dita negli orecchi del sordomuto e gli tocca la lingua con la saliva, ritenuta elemento medicamentoso sia dagli ebrei che dai pagani; poi guarda verso il cielo, emette un sospiro e pronuncia una parola aramaica: "effatà!" (noi siamo abituati a sentirla durante il rito del battesimo dove il sacerdote sfiora con un dito le labbra del neonato, tocca le sue orecchie e dice: "Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre."), che subito l'evangelista traduce in greco: "apriti!".
Questa apertura è indirizzata, sì all’ascolto della Parola ma soprattutto alla misericordia di Dio.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 31: Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Esiste un cammino percorso da Gesù: si dirige volutamente in un territorio non giudeo della Palestina, la Decapoli, abitata da greci, e quindi pagani. Quello che fa l’evangelista in questo momento è sottolineare il privilegio dei lontani.
Gesù ritorna sui suoi passi, riprende quel cammino ritornando in mezzo ai pagani, elargendo la misericordia di Dio. Ma per farlo indica una certa fatica attraverso uno strano peregrinare: Tiro verso sud, Sidone verso nord, la Decapoli verso sud. È talmente strano per la durezza del cuore umano. Gesù torna e ritorna a bussare al cuore dell’uomo, si spinge oltre: va a cercare l'ultimo abitante dell'ultima regione, per donare il suo amore e la sua salvezza.
Questa introduzione geografica è in realtà un'introduzione fortemente teologica: ci racconta il cammino di Dio verso l'uomo, un cammino che lo spinge "oltre ogni oltre" e il luogo della fede è la nostra incredulità.
v. 32: Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano.
Essere sordomuti, nella Bibbia, è considerato una condizione tragica. Il Salmista ci ricorda: «Io, come un sordo, non ascolto e come un muto non apro la bocca» (Sal 38,14) e descrive accuratamente la condizione di quelli che ancor oggi sono sordi dalla nascita. La condizione di questo uomo, pagano, vuole farci intendere anche uno sguardo generale della popolazione: è sordomuta.
Quest’uomo ha bisogno di un intermediario. Non si dice chi. Tutto porta a Cristo. Tutto, creato in lui e da lui, tende a lui (Col 1,15; 1Gv 1,3).
L’uomo non si accorge della sua malattia, altri gliela mostrano. Egli è sordomuto che nel testo greco, “sordo”, sottolinea non solo il senso della sordità ma che la persona è spenta in se. Egli è sordo alla Parola di Dio che lo fa figlio e fino adesso ha prestato attenzione alle menzogne di satana. Sordo in greco vuol dire anche ebete, tonto. Questo è l’uomo che non intende la Parola di Dio e ignora quanto Dio ha preparato per lui.
L’uomo è anche muto, balbuziente. “Moghilalo” (in greco) significa uno che parla poco, con difficoltà e male: ha la lingua inceppata e impedita. Infatti, chi non ascolta non è capace di parlare.
L’opera di Gesù sarà quella di farlo parlare correttamente. L’episodio evoca la liberazione dalla schiavitù di Babilonia in Is 35,6: "La lingua del balbuziente griderà di gioia".
L’azione degli intermediari continua con la preghiera: questa è la prima mediazione della fede. Il sordo non lo fa e quindi dinanzi a Dio diventa grande la nostra responsabilità.
L’intermediario chiede di imporre le mani, quel gesto tipico di Gesù dove la sua forza passa dal più forte al più debole (Mc 1,31.41; 3,5; 5,41; 6,5).
v. 33: Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua
Gesù conosce il cuore dell’uomo, ancora oggi farebbe la stessa cosa; è un rapporto a due, lontano dagli altri per evitare giudizi, incomprensioni. Per evitare un pensiero influente, visto il suo stato sociale.
Poi Gesù va al nocciolo del problema facendo dei gesti “sacramentali”. "Gli stura" le orecchie: è un'azione quasi violenta. Nella Bibbia il dito di Dio indica la sua potenza (Es 8,15; 31,18; Dt 9,10; Sal 8,4; Lc 11,20). Con la saliva che qui viene ad evocare un immagine dello Spirito gli toccò la lingua.
Nel silenzio e nel deserto (lontano dalla folla) il signore ci lavora con la sua Parola, modellando lentamente il nostro volto a immagine del Figlio.
Nei primi secoli della chiesa questo gesto faceva parte della liturgia battesimale: si metteva il dito nelle orecchie, la saliva sulla bocca e si diceva: Effathà, apriti. Motivo di ciò è il cammino che porta alla fede, e il tema fondamentale è aprire l’orecchio per ascoltare e poi per poter parlare.
v. 34: guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!».
Gesù in ogni e per ogni cosa entra sempre in comunione con il Padre. Senza vivere la comunione con il Padre non potrebbe fare nulla (cfr. Gv 5,19). Però, spesso freme di indignazione, come qui, o di ira, e sempre in occasione sia del rifiuto con cui è accolto (Mc 8,12), sia di un male, come qui, sia della morte, come nel caso di Lazzaro (Gv 11,33.35.38). Questo dono è doloroso per il Signore: darci un cuore nuovo gli costa la vita. Il suo gemito è il preludio dell’alto grido della croce (Mc 15,34.37)
Poi pronuncia una significativa parola in aramaico (‘epp tah) quasi a farci intendere che la persona capisce o proviene dal giudaismo. Il testo greco traduce per noi la parola che indica una apertura non solo dell’udito e di tutta la persona ma alla misericordia di Dio.
v. 35: E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
Il fatto avviene subito, immediatamente. La Parola del Signore è capace di vincere ogni chiusura e guarirci dalla sordità. L’evangelista definisce il motivo per cui era incapace: “il nodo”. Marco dice letteralmente che «l'udito» (akoaí) dell'uomo si è aperto, invece di usare “óta”, il termine che designa propriamente gli orecchi.
L’uomo è sempre legato alle sue paure e alla menzogna fin dall’origine. Ancora oggi viviamo in questa oscurità anche se siamo figli della luce, di Dio.
Quindi, Gesù, parola di verità, apre l’orecchio, scioglie la lingua annodata, incapace di esprimere l’amore perché non lo aveva ascoltato. Il sordo farfugliante diventa uno capace di ascolto e di risposta, capace di relazione.
Il comandamento rimane lo stesso: “Ascolta Israele” Che cosa devo ascoltare? Ascolta questa parola d’amore, inizia quel rapporto che ci rende come Dio. Non restare sordo!
v. 36: E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano
Come già avvenuto in occasione di precedenti guarigioni (cfr. Mc 1,43-44; 5,43; 9,8). Gesù chiede di custodire il silenzio, per non disperdere la grazia e la gioia di una vita nuova, ricreata.
Gesù proibisce ai discepoli di parlare di lui, perché non hanno ancora capito chi è Gesù e annunciano, sbagliando, un Gesù Messia. Il Signore non vuole il clamore che solitamente si alza intorno al taumaturgo. Solo che Gesù non è quello che loro annunciano e per tre volte Gesù dovrà richiamarli su questo (Mc 8,31-33; 9,30-32; 10,32-34).
Gesù non guarisce i malati perché diventino credenti o si mettano al suo seguito, ma per creare uomini liberi, guariti, pieni (Ermes Ronchi) anche se è vero chi sperimenta la salvezza di Dio, non può non raccontare.
v. 37: e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
L’evangelista descrive i discepoli "sbalorditi, sconvolti, meravigliati, spaventati" e cela anche la nostra mancanza di fiducia in Dio.
Ciò che accade è forte e lascia le persone senza parole perché qualcosa d'inaspettato e di imprevisto. Poi riprende la Genesi (1,31) che fa “bella, buona ogni cosa”. Infatti, quando l’uomo ascolta il Signore e gli risponde, tutta la creazione torna “bella e buona”, come Dio l’aveva pensato dal principio.
Chi era nella tradizione ebraica colui che faceva tali opere? Is 35,5-6: “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e gli orecchi dei sordi (kophos) sentiranno; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del balbuziente (moghilalos) sarà chiara”. Isaia invita all’esultanza perché il deserto fiorirà. Nei luoghi di solitudine e di dolore il Signore arriverà. Allora, aprire gli occhi ai ciechi e gli orecchi ai sordi erano le opere del Messia. Se Gesù fa questo, il Messia, il Signore è arrivato.
L’evangelista Marco, però, non descrive un Gesù Messia, ma Gesù Cristo, Figlio di Dio come scrive fin dall’inizio: «Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (1,1), non nella linea della gloria e della potenza ma in quella della povertà e della sofferenza: Gesù rivela la sua figliolanza divina sulla Croce (cfr. 8,29; 9,7;15,39).
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Chi è Gesù nella mia vita? Con quale attesa mi rivolgo a Lui?
Quanti nodi nella nostra vita che ci rendono incapaci?
Mi sento un salvato? Spartisco l’annuncio di questa salvezza con altri, con cui condivido anche la ricerca del dono di Dio?
Come vivo il mio compito di ascoltatore e annunciatore della Parola che racconta l’attuarsi della salvezza?
Le mie parole quotidiane sono risposta a questo dono di Dio?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
 
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
 
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. (Sal 145)
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Ogni giorno chiediamo a Dio di aprire gli orecchi del nostro cuore all’ascolto della sua Parola, così da avere sulle nostre labbra parole di comunione fraterna e nelle nostre mani azioni di carità (Enzo Bianchi).