Lectio divina su Lc 6,27-38
Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Il brano domenicale è la continuazione del discorso della “pianura” già intrapreso domenica scorsa. Luca a differenza di Matteo che abbraccia tre capitoli, si limita nei vv. 20-49. Abbiamo visto le beatitudini, che sono il
manifesto del regno di Dio, un regno da vivere con i suoi criteri di azione, e, il brano di questa domenica le descrive.
Dopo che Gesù ha rivolto a quanti hanno scelto di seguirlo parole di felicità, qui espone il criterio della carità: un amore totale e disinteressato per tutti, compresi i nemici.
La vita del cristiano è particolare: va incontro a lotte e persecuzioni. Egli è chiamato ad “essere sale per non essere calpestato” (Mt 5,13). È chiamato ad incarnare il vangelo, ricordando che sarà perseguitato. Ecco qui la domanda: cosa bisogna fare nei momenti della persecuzione?
Il vangelo odierno vuole aiutare iniziando con quattro imperativi: “amate”, “fate bene”, “benedite”, “pregate”, per poi aggiungerne ancora quattro: “porgi l’altra guancia”, “non negare la tunica”, “dà”, “non richiedere” come se dovesse amplificare il messaggio. E, poi, la regola generale, un altro imperativo ancora: “come volete che facciano a voi, fate a loro similmente”. Sono imperativi che mettono in sintonia con lo stesso amore di Dio misericordioso.
Le immagini del cieco che guida un altro cieco (vv. 39s.), della pagliuzza nell’occhio (vv. 41s.), dell’albero e del frutto (vv. 43-45), della casa sopra la roccia (vv. 46-49), con i relativi insegnamenti, costituiscono i restanti testi del discorso della “pianura” di Luca.
vv. 27-28: Ma a voi che ascoltate, io dico
Il v. 27 inizia con un “ma”. Alla folla attenta alle parole che aveva detto Gesù: “beati voi poveri”, poi “guai a voi ricchi” e, quindi, ora quasi a cambiare destinatario, dice: “ma a voi”, cioè non ai ricchi, “ma a voi che mi ascoltate”. Queste parole sono dette a chi ascolta Gesù. Ed è l’ascolto che ci fa trasforma, noi diventiamo la parola che ascoltiamo. La Parola, come ha creato l’uomo, così costantemente lo ricrea a sua immagine. E la prima parola che Gesù dice é “amate”: unico imperativo, unico comando, è quello dell’amore.
Un modo diverso per tradurre queste parole introitali è: “se ti metti in gioco, sappi che…”.
amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male.
Il discepolo non può fare a meno del mondo e tantomeno isolarsi per questo va incontro a ingiustizie, cattiverie nei suoi confronti. È qui che deve vivere in primo luogo il comandamento di Cristo. La formula “amate i nemici” può essere sostituita con “perdonate”. È l’amore scandaloso di Dio, dato che perdonare i nemici non è istintivo e che la natura umana, ferita dal peccato, spinge all’antipatia, al rancore, all’odio. Ma Gesù chiede di andare oltre il sentire umano, oltre il buon senso. È l’amore che ci rende come Dio o, ed è l’amore che realizza l’uomo, ed è nell’amore che entriamo in comunione con l’altro.
vv. 29-30: A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da' a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
Qui la richiesta viene accentuata. I versetti appaiono in difesa della dignità umana. La risposta alla violenza è la consegna, è l’amore. Il nemico non è solo colui che ti colpisce lo spirito con l’odio, la maldicenza, la calunnia, anche quello che ti colpisce il corpo, i beni, il volto: a chi ti colpisce una guancia porgi anche l’altra.
La violenza non porta da nessuna parte, anzi rispondere con la violenza significa dare adito e far sì che generi sempre violenza. Il male si arresta dove uno ha una forza tale da non rispondere al male col male, ma vincerlo col bene.
L’esempio “a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica”, sta ad indicare che c’è sempre qualcosa di più grande delle proprie vesti, di cui sarà Cristo stesso che ci rivestirà delle sue, restando nudo sulla croce. Dare allora assume una bellezza autentica e gratifica perché dare è la qualifica fondamentale dell’amore.
v. 31: E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.
La regola d’oro, formulata qui in modo positivo suggerisce bene l’orizzonte in cui si collocano le scelte concrete del discepolo di Gesù: un amore universale (qui, infatti non si parla di prossimo o di fratello ma di ogni uomo) gratuito e disinteressato, un agire a immagine del Dio del Vangelo del Regno.
Questa regola d’oro era già nota (sia nel mondo biblico che extra biblico) in forma negativa: “non fare agli altri ciò che non vuoi che facciano a te”.
La regola d’oro posta qui è nella forma positiva che parla di diritti da vivere ma che nessuno compie. È un invito a considerare i nostri diritti come nostri doveri. In altre parole, comincia a considerarli tuoi doveri, falli tu con l’altro e vedrai che anche l’altro li farà con te.
Un altro aspetto che va considerato è l’universalità; non a caso non si parla di “prossimo2 o di “fratello”, ma di ogni uomo. Quindi la regola che dona Gesù è universale, che mette in grado di giudicare la situazione e di agire rendendo indipendenti dalla legge degli scribi.
Ora quanto precede e quanto segue dice che il comportamento dei credenti deve superare questa norma.
vv. 32-34: Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto.
Qui viene spiegato le disposizioni precedenti. Ognuna si conclude con la domanda a cui il singolo o la comunità è chiamato a dare risposta.
Bisogna tenere presente che l’amore che si riceve e che si dona è sempre gratis, cioè è una grazia. Certo abbiamo altri amori, ma non sono grazia: amore dei peccatori. Peccare in ebraico è una parola che vuol dire fallire il bersaglio: un amore fallimentare che si chiama egoismo, che è un amore senza grazia. È un amore per interesse, è un amore dietro compenso, cioè meretricio, che è la distruzione dell’amore. E la grazia che cos’è? La parola charis, grazia, è fondamentale in tutto il Nuovo Testamento e indica, questa parola, innanzitutto grazia, bellezza, bontà, gratuità, amore, ha la stessa radice di gioia. È quella costellazione di parole che rendono la vita vivibile: è la qualità della vita, l’amore, la gioia, la bellezza, la bontà, la grazia, la gratuità, il dono, la gioia. Cioè, l’amore è grazia, è gratuità, diversamente non lo è. Ed è la grazia, la gratuità che produce poi la reciprocità. Se no è un possesso reciproco, appunto, è una schiavitù doppia. Quindi non si
può amare e neanche vivere in questo modo.
v. 35: Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Qui abbiamo un’inclusione con i vv. 27-28.30, con espressioni già usate nei vv. 32-34. L’invito viene accompagnato da una specificazione. L’avverbio “invece”, vuole indicare l’aspetto positivo rispetto a quello negativo accompagnato da una grande promessa: “Avrai una grande ricompensa e sarai figlio dell’Altissimo”. “Amare il nemico” è, quindi, in primo luogo, riconoscere ciò che divide, ma credere nella possibilità di costruire, con l’aiuto divino, un rapporto diverso.
Ebbene, all’ostilità si mette fine non con la rappresaglia e con la vendetta, ma solo riconoscendo che l’amore è l’unica soluzione.
Il discepolo deve rallegrarsi sempre nel Signore e considerare la comunione con lui: una meta raggiungibile con la donazione di se stesso. E la ricompensa è essere figlio di Dio, liberi, uguale a Dio: è questa la grande ricompensa. Se agisci cosi, tu sei uguale a Dio, sei suo figlio. Finalmente sei uomo libero che sa amare, che sa vincere il male, che sa vincere la morte.
v. 36: Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Un’affermazione molto piena, pregnante e audace: «siate misericordiosi come il Padre». Al popolo giudaico era ben noto che Dio è misericordioso, ma dire all’umanità di essere misericordiosi come Dio creava problema. Infatti, il termine misericordioso è la prima volta che appare nel Nuovo Testamento. Sarà Giacomo a riprenderlo nella sua lettera facendo capire che la misericordia è il cuore stesso di Dio e che avrà sempre la meglio in giudizio (cfr. Gc 2,13).
La parola misericordia viene dall’ebraico che indica “il grembo”, “l’utero” in riferimento alla madre. Qui il versetto sembra contrapporre il Padre alla madre. Mentre Gesù non fa altro che presentare Dio Padre come una madre e i suoi incontri con i malati e i peccatori sono sempre carichi di misericordia.
“Siate dunque misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (v. 36): ecco come Luca trasforma il detto di Mt 5,48 (“Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”).
La misericordia definisce i rapporti nuovi del Regno e, grazie ad essa, è già ora sapersi persone che hanno scoperto la loro figliolanza con Dio. La misericordia, infatti, è il centro della vita cristiana. Essa è uno dei frutti più belli della carità (cfr. CCC 1829).
vv. 37-38: Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati.
L’amore, la misericordia conduce il cristiano di ogni tempo a non giudicare ma a perdonare. San Paolo riprende nel suo messaggio questo stesso invito usando le seguenti parole: «E chi sei tu che ti fai giudice del servo di un altro?...Tu poi perché giudichi il tuo fratello? E perché tu disprezzi il tuo fratello?» (Rm 14,4.10). E ancora: «Perciò non giudicate di nulla prima del tempo, finché non venga il Signore» (1Cor 4,5) e aggiunge in un`altra circostanza: «Riprendi, correggi, esorta» (2Tm 4,2).
Questo linguaggio appare come un “cuore che riposa nell’altro cuore”.
Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».
Ritorna il precetto del dare gratuitamente, anzi viene più volte ribadito. Chi ha un amore come quello indicato da Gesù imita il Dio misericordioso e avrà da Dio una grande ricompensa.
L’immagine messa qui in risalto si capisce se si pensa alla rimunerazione data al servo in grano, base del sostentamento che veniva versato nelle falde della larga veste orientale. L’abbondante ricompensa verrà versata nelle pieghe di un’ideale veste.
Attenzione, sarà versata nel grembo. Qui si parla dello stesso grembo di cui è già sgorgata la misericordia per cui non si esaurirà mai, così come disse Elia alla vedova di Sarepta (cfr. 1Re 17,16).
Essere misericordiosi come Dio significa dare in abbondanza, in quanto Dio non usa misure meschine.
Guardo la vita e le persone con lo stesso sguardo di Gesù?
Cosa vuol dire oggi “essere misericordioso come il Padre del cielo è misericordioso”?
Riesco a cogliere in tutta la sua intensità il comando di Gesù: amate senza interesse, siate miti, misericordiosi, non violenti, perdonate i vostri nemici, fate loro del bene, benediteli, pregate per loro?
Quali atteggiamenti mi educano all’amore misericordioso e mi costruiscono attorno ad esso?
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.
lento all’ira e grande nell’amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero verso quelli che lo temono. (Sal 102).