martedì 16 luglio 2024

LECTIO: XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno B)

Lectio divina su Mc 6,30-34

 
Invocare
Dona ancora, o Padre, alla tua Chiesa, convocata per la Pasqua settimanale, di gustare nella parola e nel pane di vita la presenza del tuo Figlio, perché riconosciamo in lui il vero profeta e pastore, che ci guida alle sorgenti della gioia eterna. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. 31Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. 32Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. 33Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
34Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Domenica scorsa avevamo meditato sull’invio dei Dodici per fare ciò che Gesù stesso ha fatto. Ora “Gesù accoglie i suoi tornati dall'annuncio di domenica scorsa. Sono entusiasti ma stanchi, pieni di gioia e di luce negli occhi. Li ascolta col sorriso, perché Gesù ama il successo dei suoi subalterni, è felice delle nostre gioie, non è un Maestro che adora essere adorato” (Paolo Curtaz). Qui affronterà quali sono i veri e i falsi pastori, i veri e falsi profeti.
Sullo sfondo del Vangelo troviamo l’immagine del Pastore Buono, che gioisce perché le sue pecore lo ascoltano, ed Egli ne ha una profonda conoscenza, ed esse lo seguono dovunque Egli vada.
L’evangelista Marco sembra darne una struttura diversa, suggerendo questo titolo: “il ritorno dei discepoli”. Infatti, viene descritto, quasi per istinto, come i Dodici ritornano da colui che li aveva inviati in missione.
Il brano è un continuo invito al servizio ma allo stesso tempo a fermarsi per trovare se stessi. In questa sosta per rinfrancare il cuore, troveremo un compagno ideale: il verbo “compassione”.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 30: Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato.
Quest’introduzione ci riallaccia a quanto abbiamo già ascoltato in precedenza sull'invio dei Dodici (cfr. vv. 7-13). Un particolare emerge in questo versetto. L’incarico che Gesù affidò era di proclamare il bisogno di emendarsi, scacciare i demoni, e, come complemento, guarire, ungendo con olio, fomentando così la speranza della restaurazione nazionale, senza tener conto dell’alternativa del Regno. I Dodici però aggiungono una novità: “quello che avevano insegnato” attività che non solo non era stata affidata loro da Gesù, ma che in questo Vangelo è esclusiva di Gesù e che egli esercita solo con ascoltatori giudei (insegnare = proporre il messaggio partendo dall’AT: 1,21b;2,13;4,1;6,2 ecc.).
Questi non erano pronti a questo tipo di attività, perché non avendo assimilato l’insegnamento di Gesù, il loro insegnamento è legato alla nazione giudaica più che a un messaggio particolare. Ma forse è il caso di scoprire un nuovo volto che conduce ovunque.
v. 31: Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Il versetto è consequenziale. L’evangelizzazione richiede una verifica, un riposo, un discernimento. Per scoprire un nuovo volto non occorre l’euforia ma l’interiorità, uno stare in disparte. Gesù invita a vivere questo tempo nel silenzio, lontano. È il tempo della meditazione, per far luce, far entrare la Luce. Il luogo deve essere deserto. Il termine greco che allude anche al deserto è per eccellenza un orizzonte di silenzio e di solitudine; è il luogo dell'intimità con Dio (cfr. Os 2,16).
Il verbo “riposare” viene usato nei LXX in Is 14,3 per significare la liberazione da parte di Dio dalla schiavitù di Babilonia; Marco allude a quel passo per indicare che Gesù vuole liberarli dalla ideologia che li domina e impedisce loro la sequela.
Gesù sta impedendo che i cuori dei Dodici si riempia di euforia per il bisogno che li circonda, fino al punto che non hanno tempo per mangiare e per stare con Lui e accogliere l’essenziale.
v. 32: Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte.
Qui abbiamo due immagini: una barca e il luogo deserto. Una barca fa pensare alla sua navigazione in mare tra i suoi flutti. Rappresenta anche una “navigazione nel mare della vita”. Per questo in essa troviamo anche il simbolo della Chiesa, piena di speranza, in cammino verso l’eternità. Tutti ci ritroviamo in questa barca: fragili e disorientati, ma anche importanti e necessari in quanto chiamati a remare insieme in questa vita.
Rimane quel luogo deserto, in disparte. È il luogo dell’intimità tra Dio e l’uomo: lì Egli si fa incontrare, parla al suo cuore e gli indica la via vera da seguire. Proprio nella solitudine del deserto il cuore dell’uomo, staccato e libero da tutte le altre cose, si apre alla Parola di Dio e risponde con la preghiera, filiale e fiduciosa, e con la vita, rinnovata dalla grazia. “Dal deserto le cose si vedono meglio, con proporzioni più eterne” (Carlo Carretto). Il deserto è il luogo di purificazione; è il luogo formativo. È il luogo che fa da cerniera all’AT e al NT. Il deserto è il luogo dell’ospitalità: è la vita; ed è una necessità per chi vuol seguire Gesù. Egli è l’essenziale non il bisogno della gente. Ma, dall’altra parte, il deserto è anche il luogo e il simbolo per eccellenza della prova, dove il Tentatore, approfittando della fragilità e dei bisogni umani, insinua la sua voce menzognera, seduce con una voce alternativa a quella di Dio, lo rende sordo all’appello di Dio e muto nel rispondergli, e lo porta alla rovina. Il deserto ci permette di percorrere la strada suggerita dalla Parola di Dio, quella dell’amore, del perdono, del servizio.
v. 33: Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
In questo versetto accade la stessa cosa che accadde a Gesù. Dopo la sua prima giornata di missione non hanno goduto un po’ di pace pur andando in un luogo deserto. Ricordiamo Pietro che pose fine a questo isolamento avvertendolo: «Tutti ti cercano» (1,36)».
Questo fatto si ripete anche ai nostri giorni. Lo stare con Gesù non va inteso come un contatto esterno, sebbene familiare, con il Maestro; si tratta piuttosto di una progressiva condivisione interiore, profonda. Lo stare con Cristo equivale a essere come Cristo.
v. 34: Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
La folla qui continua a frustrare Gesù e i discepoli. È tanta ed è formata da tanta gente, da diversi villaggi, che si era mossa via terra verso questo luogo (6,33) per incontrarsi con il gruppo.
Questa presenza commuove Gesù. La commozione di Gesù per la folla non è una commozione "umana", nel senso comune che noi diamo al termine. È una partecipazione sofferta ed intima; è un atteggiamento messianico!
La «compassione» di cui parla Marco (in ebraico rahàmìm = viscere), corrisponde al greco oiktrimoi (compassione manifestata) o splàgnon (connesso con splén = milza indica genericamente le viscere; più specificatamente può indicare il seno materno) ed indica un movimento degli intestini, nel senso che Gesù provò un forte turbamento nelle sue viscere come lo prova una madre per suo figlio (letteralmente «si sentì smuovere le viscere»; secondo l'antropologia biblica, le viscere sono sede della sollecitudine materna).
Il termine commuoversi (splanchnízomai) indica un comportamento tipico di Gesù e «caratterizza la divinità del suo agire». Matteo spiega più chiaramente in qual modo ebbe compassione di loro, dicendo: “Ebbe misericordia della folla e risanò i loro ammalati” (Mt 14,14).
Nell’evangelista Luca ritroviamo il verbo con la parabola del padre misericordioso (Lc 15,20) e del samaritano che soccorre il malcapitato (Lc 10,33).
Nella Bibbia la compassione, la misericordia è una caratteristica di Dio (Lc 1,50; cfr. Sal 86,15; 111,4; 112,4; 145,8).
Ciò che commuove Gesù è il fatto che la folla era come pecore senza pastore (cfr. Ger 23,2-4), brancolante nel buio, abbandonata, disorientata, senza un senso per la propria vita.
La similitudine viene tratta dall'AT; in modo particolare ricorda due testi: Nm 27,17 ed Ez 34,5.8.31 (ma anche 1Re 22,17; Zc 10,2; 13,7; ecc.) ed esprime molto bene la condizione di smarrimento.
Gesù assume il ruolo di pastore di Israele e il suo primo obiettivo è dare nutrimento alle persone. L’umanità senza pastore abita il cuore di Dio. Marco non espone concettualmente il contenuto dell’insegnamento, ma lo spiega per mezzo dell’azione di Gesù.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
La Parola e il Pane sono un vero nutrimento per la mia vita?
Quale spazio concedo alla Parola di Dio nella mia settimana? Solo le letture della messa? Oppure le preparo con una lettura personale e qualche commento adatto? Medito quello che leggo?
Avverto la cura di Dio per me?
Mi prendo cura degli altri, così da essere nel mio piccolo un pastore secondo lo stile di Gesù?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.  
 
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
 
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
 
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni. (Sal 22).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Mi lascio condurre in disparte da Gesù per vivere il ministero della compassione per la folla stanca e smarrita, senza dimenticare che il Vangelo è Gesù!