lunedì 24 gennaio 2022

LECTIO: IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Lectio divina su Lc 4,21-30
 

Invocare
O Dio, che nel profeta accolto dai pagani e rifiutato in patria manifesti il dramma dell’umanità che accetta o respinge la tua salvezza, fa’ che nella tua Chiesa non venga meno il coraggio dell’annunzio missionario del Vangelo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
21Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». 22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: «Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!»». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». 28All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Riprendiamo la Parola dove l'abbiamo lasciata domenica scorsa e da lì continuiamo il nostro cammino, lasciandoci plasmare dalla Parola stessa.
Il brano qui presente riferisce la seconda parte del discorso programmatico della missione di Gesù, la quale si conclude con la reazione negativa dei Nazaretani e ha il suo culmine in un tentativo di lapidare Gesù. Infatti, il tema guida di questa domenica è la Parola profetica, posta tra accoglienza e rifiuto. Essa infatti è offerta alla libertà delle persone che l’ascoltano ed è continuamente confrontata con la risposta umana, in termini ora di accoglienza, ora di rifiuto. Gesù, rifiutato dai suoi concittadini, recupera il tema veterotestamentario del profeta perseguitato.
L’episodio del vangelo di oggi è presente anche negli altri sinottici (Mt 13, 53-58 e Mc 6,1-6); in tutti e tre, Gesù si reca nella sua patria, predica nella sinagoga e incontra il rifiuto dei suoi compaesani. In Luca, però, grazie a una accurata elaborazione letteraria, il racconto acquista un significato molto più complesso. Luca, a differenza di Matteo e Marco, pone l’episodio all’esordio dell’attività pubblica di Gesù e, in breve spazio, condensa tutti gli sviluppi del rapporto tra Cristo e i Giudei.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 21: Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Che cos’è questo “oggi” di cui parla Luca se non il Sorprendente? L'Inaspettato? Come mai “oggi”?
“Oggi”, semplicemente perché c’è l’annuncio del Regno nella Parola di Gesù. È ai nostri orecchi che si compie questa Parola di salvezza.
L’avverbio “oggi”, è importante in tutta l’opera lucana. Ricordiamo che l’annuncio della nascita di Gesù è stato dato dagli angeli con quelle parole: “Vi annuncio una grande gioia: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2, 10-11).
“Vi è nato”; non “è nato”, è nato per voi. Oggi è la vostra gioia. Oggi è la vostra salvezza. Verso la fine del vangelo, al capitolo 23, c’è ancora questo “oggi” nelle parole che Gesù dice a un condannato a morte: “Oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23, 43); anche lì è il mistero di una salvezza che si apre a qualcuno che ne ha un bisogno immenso senza averne meriti e possibilità di raggiungerla. Succede anche nel ministero di Gesù, quando va a casa di Zaccheo: “Scendi Zaccheo, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19, 5). Quando Gesù si è fermato in casa di Zaccheo può dire: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anche lui è figlio di Abramo” (Lc 19, 9).
L’oggi vuole dire solo questo: che c’è Gesù e dove Gesù è presente, parla e agisce, tutte le promesse sono realizzate “oggi”; tutte le speranze sono anticipate “oggi”. Dove c’è la Parola di Gesù “oggi” diventa il tempo, il luogo, il momento e la possibilità della salvezza.
“Questa Scrittura si è compiuta ai vostri orecchi”, perché hanno ascoltato la Parola. S’intende che la Parola di Gesù non dice semplicemente delle cose, non trasmette solo informazioni; in quella Parola Gesù, è Dio stesso che apre il suo orecchio ad ascoltare il grido dell’uomo e che apre il suo cuore per rispondere alle necessità e al bisogno dell’uomo.
vv. 22-24: Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca
Una annotazione strana, soprattutto per quanto “tutti” diranno dopo o vorranno fare a Gesù. La testimonianza non appare a favore di Gesù, in quanto il pensiero di Gesù si discosta da ciò che è la mentalità del popolo. Però l’Evangelista fa questa annotazione per tutti, oggi. La Parola del Signore è parola di grazia. È Parola incontenibile in quanto donata deve essere testimoniata. Per questo nel cuore dell’uomo nasce e fiorisce la gioia, lo stupore, la meraviglia. Gesù è stato capace di destare l’interesse e la meraviglia perché le sue erano anche “parole di grazia” (lógoi tês cháritos). Nei Salmi, il canto nuziale loda il re-Messia così: “sulle tue labbra è diffusa la grazia” (Sal 45,3). Gesù è lodato perché “la grazia è sparsa sulle sue labbra”.
Purtroppo lo stupore è negativo. La testimonianza e la meraviglia hanno qualcosa d’ambiguo: hanno un significato sia positivo che negativo, significano sia ammirazione che irritazione. Per vivere l’esperienza della fede bisogna avere la capacità di stupirsi; quando uno smette di stupirsi, smette di aprire il proprio cuore a quello che va di là delle cose, quindi perde la dimensione di trascendenza che nella fede è necessaria.
e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».
Nella cultura semitica dire “figlio” significa “colui che da continuità ai valori di suo padre”. Giuseppe è chiamato giusto proprio perché fedele ai valori, alla tradizione. Luca, se ci facciamo caso, rimarca le tradizioni che la sacra famiglia vive. Quindi i Nazaretani riconoscono Gesù come uno di loro. Purtroppo per loro Gesù si è discostato dalla mentalità del suo popolo. Per questo si pongono questa domanda, riconoscendo il loro concittadino, un uomo qualunque.
Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: «Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!»».
I Nazaretani avevano sentito che Gesù aveva operato altrove miracoli. Il loro stupore è più attaccamento al miracolo, a un beneficio materiale che a Dio.
I segni ci sono certamente dati ma solo come segni, piccole trasformazioni che rendono possibile la fede, ma che rimangono tanto piccole da lasciare spazio alla libera scelta dell’uomo. Quello che ci viene chiesto è un’adesione libera del nostro cuore.
Il proverbio di cui si parla si presenta più calzante nella situazione della sinagoga di Nazaret. Il primo però, oltre al significato generico di “Facci vedere quanto vali”, ha un valore profetico: anticipa la frase molto simile che la folla rivolgerà a Gesù sotto la croce: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio” (Lc 23,35).
La salvezza non qualcosa di precostituito, è il dono di poter vivere liberi, è la forza di potere rischiare l’atto dell’amore. Non vuol dire: siccome siamo salvati, allora l’atto dell’amore per il prossimo non è più rischioso, non ci costa più fatica, non è più impegnativo. No, rimane impegnativo e rischioso. Solo ci viene dato il coraggio di rischiare.
Quello che fanno i Nazaretani non è altro che una tentazione che Gesù sentirà più volte rivolta a sé: qui tra i suoi, più tardi a Gerusalemme (cfr. Lc 11,16) e infine addirittura sulla croce (cfr. Lc 23,35-39).
Poi aggiunse: In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.
L’espressione conclusiva fatta con una certa moderazione contiene anche una certa amarezza. «Gesù la pronuncia con rincrescimento per il rifiuto patito ma anche con una gioia interiore indicibile, perché da quel rifiuto riceve una testimonianza. Lodandolo per le sue parole di grazia non gli davano testimonianza, ma ora, rigettandolo, sì: perché questo accade a chi è profeta, a chi porta sulla sua bocca una parola di Dio e la consegna a chi ascolta. Gesù dunque in quel momento riceve la testimonianza dello Spirito santo che sempre lo accompagna e che gli dice: “Tu sei veramente profeta, per questo conosci il rigetto!”» (Enzo Bianchi).
vv. 25-27: Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro.
A questo rigetto della salvezza, Gesù riconduce a un episodio ai tempi di Elia ed Eliseo. È uno stile di Luca presentare una coppia di personaggi, in questo caso Elia ed Eliseo (cfr. 1Re 17,7-16 e 2Re 5,1-27). Di Elia Luca sarà più costante per rafforzare la presentazione di Gesù quale profeta degli ultimi tempi (cfr. 5,12-14; 17,11-19;18,25-43; 7,11-17).
Questa citazione di Gesù, colloca il rifiuto dei compaesani nell’ambito della storia del rapporto di Dio con il suo popolo, sotto due punti di vista. Da un lato, i Nazaretani, respingendo Gesù, non fanno altro che rinnovare un tratto tristemente ripetitivo della storia di Israele: essi sono un popolo di dura cervice, chiuso all’ascolto della parola dei profeti. D’altro canto, però, i casi della vedova di Sarepta e di Naaman il Siro oltre a dire che la salvezza è un dono, stanno a testimoniare che la misericordia di Dio si estende oltre i confini di Israele, verso i poveri e i malati di tutte le genti.
Gesù allarga, dunque, la sua ammonizione ben al di là del ristretto pubblico di Nazaret, del popolo eletto, e conferma il programma di lieto annuncio ai poveri, di liberazione giubilare, enunciato attraverso il testo di Is 61,1-2, appena letto nella sinagoga (4,16-19).
Si esprime così una realtà essenziale nell’esperienza della chiesa primitiva: benché esista la medesima necessità in Israele, Dio soccorre quanti si trovano nel bisogno semplicemente a motivo della loro condizione. L’iniziativa salvifica di Dio ha una portata universale.
vv. 28-29: All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno.
Lo stupore iniziale (v. 22) e l'ostilità finale (v. 28), cedono il posto al rifiuto violento. Quali delle cose dette da Gesù possono aver provocato tale mutamento? Il seguito dell’opera di Luca – Vangelo e Atti (per esempio, Lc 11,45-52; 13,29ss; 20,9-19; At 7,52-54) – chiarirà ciò che nel brano è detto in modo estremamente sintetico: i giudei non possono ascoltare senza infuriarsi il giudizio di condanna su di loro e la contemporanea apertura e gratuità dell’elezione di Dio a tutte le genti. Essi si aspettavano qualcos’altro che è racchiuso in quei versetti del profeta Isaia proclamati da Gesù ma che Lui stesso non ha voluto proclamare: “un giorno di vendetta per il nostro Dio” (Is 61,21b). Questo ha scatenato lo sdegno dei Nazaretani.
Questa gratuità sarà anche nei discepoli di Gesù, portavoce messianici di liberazione nel mondo.  
Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.
La prima scena di predicazione pubblica di Gesù si conclude con la prima manifestazione della volontà di ucciderlo. Nazaret e Gerusalemme sono i luoghi dove Gesù ebbe i più grandi maltrattamenti. A Nazaret viene cacciato il figlio di Giuseppe (il falegname) mentre a Gerusalemme il Figlio di Dio.
Questa è la sorte, che, spesso, tocca al profeta, l'uomo chiamato dal Signore, e che parla agli altri uomini con le parole e l'autorità che vengono da Dio, e non dalle limitate risorse umane; un compito, che può anche essere esaltante, per la nobiltà dei contenuti, ma che, concretamente, si traduce in un rischio, come si può ben desumere dal passo del profeta Geremia, che leggiamo in questa domenica:" .. mi fu rivolta la parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». «Tu, dunque, cingiti i fianchi, alzati e di' loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti alla loro vista. Ecco, oggi, io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo contro tutto il paese ti muoveranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti» (Ger. 1,4-5.17. 19).
Anticipando così ciò che si compirà nei giorni di Pasqua, l’Evangelista completa la sintesi della vita di Gesù, nell’episodio inaugurale.
A Nazaret non esiste un monte. Il monte di cui si parla è solo il cuore indurito degli abitanti, arroccati sulle loro posizioni. Possiamo orientare il pensiero verso il luogo del Cranio dove un giorno Gesù sarà crocifisso ed elargirà lo Spirito di grazia per tutti.
v. 30: Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
In questa conclusione Gesù sfugge alla gente. “Transiens per medium illorum ibat”, attesta la Vulgata (verso Cafarnao cfr. 4,31). Gesù continua a passare. Anzi, tutto il Vangelo sarà in cammino. Il suo passaggio è sinonimo di accoglienza, entusiasmo ma anche rigetto, rifiuto. Sembra richiamare i testi del IV Vangelo quando Gesù, sfuggendo, l’evangelista Giovanni sottolinea: “non era ancora giunta la sua ora” (cfr. Gv 7,30.40-45; 8,59; 10,39).
Gesù passa e sfugge al nostro sguardo perché continuiamo ad essere duri e divisori. Egli, passando continua a fare il bene (cfr. At 10,38) e va oltre come Elia, come Eliseo, va tra i pagani tra coloro che Dio ama. E sarà sempre così: “Ecco, io scaccio demoni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno terminerò. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente me ne vada per la mia strada” (13,32-33).
La strada di Gesù fa riflettere anche su un’altra parabola: quella dei vignaioli infedeli che uccidono il figlio del padrone (Mt 21,33-44). Inoltre, si attua quanto ha detto l'evangelista Giovanni nel prologo: “I suoi non l’hanno accolto. A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).
La conclusione del versetto evidenzia la continuità del cammino di Gesù. Egli non si ferma per l’opposizione dei suoi paesani. Continua a testa alta il suo cammino, fino alla pasqua. E dopo la pasqua, mediante i suoi discepoli, la sua parola e l’offerta di salvezza incomincerà a percorrere le strade del mondo. Fino agli estremi confini della terra! (At 1,8).
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Quando mi metto in ascolto della Parola, mi lascio sconvolgere oppure cerco solo quello che mi piace, mi fa comodo?
So vedere il compiersi delle Scritture nella mia vita? In quali occasioni l'ho sperimentato?
Il mio è un amore ristretto nei miei pregiudizi con cui impongo a Dio le mie scelte, oppure sono aperto al suo dono d’amore gratuito?
Ho animo aperto per riconoscere che Dio opera anche oltre i confini della mia comunità? Sono "ecumenico" nelle relazioni con le altre comunità che si rifanno a Gesù?
Mi sento missionario nella mia famiglia, nell'ambiente di studio o lavoro, di svago? Sono disponibile a fare la volontà di Dio, con animo aperto?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso.
Per la tua giustizia, liberami e difendimi,
tendi a me il tuo orecchio e salvami.
 
Sii tu la mia roccia,
una dimora sempre accessibile;
hai deciso di darmi salvezza:
davvero mia rupe e mia fortezza tu sei!
Mio Dio, liberami dalle mani del malvagio.
 
Sei tu, mio Signore, la mia speranza,
la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza.
Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno.
 
La mia bocca racconterà la tua giustizia,
ogni giorno la tua salvezza.
Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai istruito
e oggi ancora proclamo le tue meraviglie. (Sal 70).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Oggi, accogliamo la “buona notizia” di Gesù, conserviamo nel cuore la sapienza e l'umiltà per essere poveri in spirito. Ci impegniamo ad essere credibili senza essere creduti, come Gesù.